Recensione: The Tale of Man
Una gestazione lenta e complicata da numerosi problemi di line up, ha ritardato di quasi quindici anni l’uscita di questo The Tale Of Man, primo ambizioso album partorito dalla mente del poliedrico artista greco Yannis Androulakakis, il quale, inizialmente coadiuvato dal bassista Dennis Bekatoros e dal batterista Odysseas, ha costituito a partire dal 1998 il primo nucleo dei Royal Quest, in seguito divenuti una one man band curata esclusivamente dal fondatore originale del progetto.
Nonostante tutte le difficoltà riscontrate, al già menzionato Yannis Androulakakis (chitarrista e cantante), va, tuttavia, riconosciuta la tenacia con cui è riuscito a realizzare una prima opera coraggiosa e di non semplice lavorazione per un solo musicista, opera arricchita, inoltre, da una copertina efficace e da una produzione comunque soddisfacente, caratteristica senza dubbio favorevole per una buona fruizione del prodotto presentato.
Musicalmente parlando, il primo album dei Royal Quest si presenta come un classico disco di power metal sinfonico, ricco di orchestrazioni, sfuriate heavy e testi incentrati su tematiche d’ispirazione fantasy. Nulla quindi di originale o innovativo, ma in ogni caso di piacevole ascolto, come dimostra la breve e strumentale “Intro”, che risulta estremamente sinfonica e teatrale, aumentando la curiosità dell’ascoltatore, che viene cullato sino al cospetto dell’articolata “Rising Empire”. L’opener, remando contro qualsiasi aspettativa, si collega all’introduzione appena ascoltata, adagiandosi inizialmente su sonorità sinfoniche e rilassanti, volte ad accentuare la maestosità del sound della band; poi non tarda a esplodere in un vortice di elegante power metal, dettato da un drumming serrato (purtroppo campionato, data l’assenza di un vero batterista) e da una sequela di ottimi riff chitarristici, sui quali si adagia la suadente voce della brava Angeliki Frangos, elemento fondamentale nel evidenziare maggiormente la componente sinfonica del progetto greco.
Subito dopo un breve interludio narrato precede la lunga “Days Of War”, che prosegue abilmente e con coerenza il percorso intrapreso dalla traccia precedente, mostrando la classe compositiva della band sempre in perfetto equilibrio fra melodia e potenza. La breve e piacevole “The Reign Of Law” placa momentaneamente la sete distruttiva dei Royal Quest, che torna comunque a palesarsi nella successiva “In The Name Of Man”, che a scapito di soluzioni innovative, riesce perfettamente a mantenere la qualità dell’album su ottimi livelli, nonostante l’ingombrante mancanza di una reale sezione ritmica a suggellare doverosamente le varie tracce del platter. L’oscura “Dark Ages” evidenzia invece l’anima più heavy del gruppo, che non manca di presentare momenti maggiormente atmosferici in un intermezzo di notevole fattura. Le seguenti “Dark Lord’s Words” e “The Cave Of The Dead” confermano la bontà del songwriting del chitarrista greco, vera macchina riff articolati, granitici e perfettamente inseriti nel contesto, anche nella successiva “Moonstone”.
Giunto ormai quasi all’epilogo, si prosegue con le brevi “The Encounter”, “The Prayer” e “Umbralith”, volte a creare la giusta attesa per la regale conclusione che si concretizza nelle note della lunga “The Last Scene”, la quale consegna ai sostenitori inguaribili del power metal sinfonico un album senza dubbio piacevole e ben confezionato, che avrebbe tuttavia potuto offrire molto di più se fosse stato realizzato con l’ausilio di una vera band al completo, anziché il lavoro (pur notevole) di una sola persona.