Recensione: The Tall Ships
A volte ritornano… come spesso accade, molti gruppi che hanno vissuto
direttamente gli anni d’oro del genere di appartenenza, magari senza aver
ricevuto tutta l’attenzione meritata, si armano di coraggio e riprovano a
mettersi in discussione dopo anni e anni di silenzio. Questo è il caso degli It
Bites, gruppo formatosi nell’anno 1982 e sparito dalle scene musicali dopo
meno di un decennio d’attività. A diciassette anni di distanza dallo scioglimento, la
band torna sul mercato con una formazione leggermente rimaneggiata che vede
l’ingresso di John Mitchell (Arena, The Urbane, Kino
e Frost) a sostituire Francis Dunnery, più un contratto con la prestigiosa
InsideOut Music.
Il sound racchiuso all’interno di The Tall Ships si può accostare al neo-prog
che ha fatto la fortuna di band del calibro di Marillion, IQ, Pendragon e altri
ancora. I brani che compongono il disco, undici in totale, godono di una
produzione moderna, ben curata e, sopratutto, di un songwriting fresco e
dinamico. Il punto di forza principale delle composizioni della band risiede
sicuramente in uso congeniale delle melodie a supporto di refrain ariosi e che
si stampano immediatamente in mente, il tutto a rendere facilmente assimilabili
i singoli brani già dal primo ascolto.
Già l’iniziale Oh My God mette subito in chiaro quali sono le armi
che intende sfruttare il gruppo inglese: semplicità e gusto melodico sopraffino,
combo vincente e convincente e che, sopratutto, non scade mai nel banale. Per
quanto riguarda la prestazione della band, risulta essere notevole sopratutto il
lavoro di un John Mitchell sempre a proprio agio nel dividersi fra
microfono e chitarra, autore di una prova d’applausi grazie anche ad un cantato
caldo e interpretativo. Non da meno l’operato degli inserti di tastiera ad opera
del mastermind John Beck (unico membro di vecchia data insieme al drummer
Bob Dalton) e di una sezione ritmica sempre precisa negli interventi e
nel ricamare strutture mai troppo intricate ma ugualmente efficaci. La tracklist
continua a scorrere fra pezzi ora più veloci e diretti come in occasione della
dirompente Ghosts,
ora più eleganti, raffinati e che strizzano l’occhio a sonorità nettamente più
commerciali; in questo caso ne sono un ottimo esempio le raffinate aperture sinfoniche di
Playgrounds (fra i momenti più emozionanti del disco) e della stessa
title-track. Restano da menzionare, infine, le aperture più ottantiane della
splendida e coinvolgente Fahrenheit e i frequenti cambi di tempo e
di atmosfere ora più delicate, ora più dirette, che si avvicendano continuamente
nei tredici minuti circa della conclusiva This Is England.
Insomma, un ritorno in grande stile quello degli It Bites. La band
inglese ha saputo fare tesoro dell’esperienza accumulata durante gli anni di
attività ed è riuscita a dare alla luce un lavoro che ha dalla propria parte la
caratteristica di unire il sound dei gloriosi anni ’80 con le soluzioni più
moderne, con in più nette coordinate stilistiche decisamente più mainstream, in modo da
riuscire a farsi apprezzare anche da chi non ha così tanta familiarità con il
genere in questione. The Tall Ship non aggiunge nulla a quanto già
detto dai maestri del genere, ma resta comunque un disco di valore e che
riuscirà a farsi apprezzare anche dopo svariati ascolti.
Angelo ‘KK’ D’Acunto
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Tracklist:
01 Oh My God
02 Ghosts
03 Playground
04 Memory Of Water
05 The Tall Ships
06 The Wind That Shakes The Barley
07 Great Disasters
08 Fahrenheit
09 For Safekeeping
10 Lights
11 This Is England