Recensione: The Thin Line Between Hope And Ruin

Di Daniele D'Adamo - 3 Dicembre 2013 - 16:59
The Thin Line Between Hope And Ruin
Band: Ragestorm
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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78

 

I Ragestorm sfiorano i dieci anni di carriera dando alle stampe, rigorosamente in autoproduzione, il primo full-length – “The Thin Line Between Hope And Ruin” – che mostra una band adulta e matura sotto tutti i punti di vista. Di gavetta se n’è fatta parecchia, (“Storm Inside”, demo, 2006; “Someone Hears?”, demo, 2008; “The Passion”, demo, 2009; “The Meatgrinder Manifesto”, EP, 2011), ed è quindi giusto che Marke e i suoi compagni diano dimostrazione di sé al Resto del Mondo.  

Senz’altro da menzionare, innanzitutto, l’eccellente sound del disco, registrato e missato da Michael Vuillermoz ai W Studios di Aosta quindi masterizzato da Mika Jussila presso i Finnvox Studios di Helsinki. Notevole, tuttavia, anche la cura grafica e la completezza del jewel-case – a tema nonché completo di tutte le informazioni necessarie – ma, soprattutto, la complessità, profondità e modernità della metafora che avvolge e permea il lavoro in ogni suo poro. Una metafora che regala a “The Thin Line Between Hope And Ruin” lo status di concept-album, il quale si basa sul concetto mai troppo evidenziato anzi urlato di un’Umanità vuota e spenta, intrappolata nella sua stessa immarcescibile attitudine a farsi manipolare anzi triturare da pochi individui. A loro volta miseri burattini di un meccanismo fagocitatore (il Meatgrinder) che, alla fine, non potrà che fagocitare se stesso.

Un tema portante così cupo, tetro e arido nei sentimenti, benché non escluda la speranza, in capo a pochi coraggiosi… vedenti, di stravolgere quest’ordine precostituito delle cose, non poteva che essere accostato – almeno a parere di chi scrive – a un death metal dallo stampo piuttosto classico; secco, aspro e aggressivo. Senza per ciò esagerare né nell’esasperazione dei contenuti musicali (il brutal è lontano anni-luce, giusto per esemplificare al massimo…), e neppure nella complessità delle trame compositive. Ovviamente ben lontane da raffigurare un sound facile e/accattivante, anzi…

Malgrado non siano neppure pochi i momenti in cui la melodia diventi gradevole (“Soldiers Of A Lost War”), la formazione valdostana mantiene costante il proprio livello di acidità grazie, principalmente, alle linee vocali; capaci di alternare con consistenza ed efficacia un rabbioso e stentoreo growling a uno screaming folle e scellerato. Buono anche il lavoro delle due chitarre, in grado di strutturare un riffing non solo durissimo ma anche elaborato e vario, e di cesellare più di un assolo di notevole fattura (“The Thin Line Between Hope And Ruin”). La sezione ritmica, che predilige i mid e gli up-tempo invece dei blast-beats (“The Meatgrinder Theory”, “Polysilicotetrapropyvinylfluorethalene”), completa un sound ricco di carattere e personalità; indicativo, in ogni momento, di uno stile magari non rivoluzionario ma senz’altro costantemente identificabile con l’ensemble di Aosta.

E, anche se in generale non è una regola, l’unicità del soggetto proposto aiuta pure la coesione fra le canzoni, ciascuna in grado di portare avanti un po’ del filo del discorso senza perdere la Via Maestra. Nel dettaglio, si possono menzionare “Idiocracy” per l’umore drammatico, dolente, che la permea sino al midollo; e “Hari Seldon’s Speech”, brano ambient dalla visionarietà totale. Pure la title-track, una suite, merita la menzione quale ‘Universo nell’Universo’. Ma è con la già citata “Soldiers Of A Lost War” che “The Thin Line Between Hope And Ruin” raggiunge il suo apice, grazie a un’inaspettata quanto gradita attitudine dei Ragestorm nel saper scrivere della musica dotata di una marcia in più rispetto alla media. Difficile stabilire di cosa si tratti. Forse è una questione di armonia, forse di ritmicità, forse di emotività.

In ogni caso, i Ragestorm sembrano lì apposta, per gridare al Meatgrinder che, no, non è giusto che “The Thin Line Between Hope And Ruin” sia ‘solo’ un’autoproduzione…   

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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