Recensione: The Thule Grimoires
Nella prima parte del suo ormai quasi trentennale percorso artistico Alexander von Meilenwald è stato batterista, nonché colonna portante (insieme al chitarrista Zorn), dei Negelfar, formazione Black Metal di Aachen (Germania) che, attiva dal 1993, si accoda solo di poco alla Second Wave of Black Metal. I Nagelfar, con uno stile personale, ma in qualche modo comparabile a quello di Darkthrone, Emperor, Marduk e Immortal, riescono a conquistarsi lo status di band di culto, tanto che il loro full lenght di esordio “Hünengrab im Herbst” è annoverato tra i migliori esempi di Black Metal tedesco.
L’esistenza dei Nagelfar si fondava su una premessa imprescindibile: i due sopra citati membri fondatori concordavano sul fatto che la band sarebbe esistita solo fintanto fosse durato il coinvolgimento di entrambi. Condizione che venne a mancare nell’aprile del 2002, quando Zorn annunciò il suo ritiro a causa della mancanza di energie e motivazione sufficienti a portare avanti il progetto. Ed è così che nel 2003 nacque The Ruins Of Beverast, la one man band di Alexander von Meilenwald.
Il debut “Unlock the Shrine” (2003) rimane sostanzialmente orientato al Black Metal, ma la struttura articolata dei brani, in cui trovano ampio spazio digressioni atmosferiche, lascia presagire come la proposta sia destinata a progredire verso lidi meno convenzionali. Infatti già con “Rain Upon the Impure” (2006), in cui blast beat e tremolo picking si coniugano con monolitici rallentamenti downtuned, inizia a emergere quella peculiare fusione tra Black, Doom e Ambient psicotico che sarà affinata nei successivi “Foulest Semen of a Sheltered Elite” (2009) e “Blood Vaults – The Blazing Gospel of Heinrich Kramer” (2013) e che, unitamente a un più frequente ricorso alle clean vocals, diverrà il marchio distintivo di The Ruins Of Beverast. Nei più recenti “Takitum Tootem!” (EP del 2016) ed “Exuvia” (LP del 2017), prima registrazione in uno studio professionale, von Meilenwald amplia ulteriormente la propria gamma espressiva con l’incorporazione di componenti tribali, che accentuano il carattere ritualistico delle composizioni.
“The Thule Grimoires”, uscito come tutti lavori precedenti per la label tedesca Ván Records, è composto da 7 tracce per una durata complessiva di 70 minuti, in linea con le release antecedenti. “Ropes into Eden” è aperta da una lunga intro, preambolo a una ruvida sfuriata Black da manuale che lascia improvvisamente spazio a un delirio sciamanico prima che ritorni il Metal, dapprima sotto forma di Doom e poi nuovamente di Black. Musicalità sinfoniche introducono “The Tundra Shines”, inizialmente appannaggio di una psichedelia psicotica, non lontana da alcune idee dei Blut Aus Nord, e di un cantato prevalentemente pulito e salmodiante, e successivamente di rallentamenti e accelerazioni estreme.
“Kromlec’h Knell” si distingue per un mood un po’più arioso rispetto a quanto ascoltato sino ad ora: l’andatura Gothic Metal (alla Type O Negative) dal passo sostenuto e interrotta da rallentamenti catatombali conduce a un finale dal sapore tribale a cui si aggancia senza soluzione di continuità “Mammothpolis”, un mantra oscuro che disorienta l’ascoltatore con il suo incedere circolare. In “Anchoress in Furs” si susseguono un passaggio veloce, sui cui si dipana un etereo coro femminile, rallentamenti di stampo ora Celtic Frost (quelli più sperimentali di “Monotheist”) ora Funeral Doom, assalti di nero metallo e il conclusivo drumming tribale. Più diretta e aggressiva, seppur non lineare, è la successiva “Polar Hiss Hysteria”. La closer “Deserts to Bind and Defeat”, che nei suoi oltre 14 minuti propina nere e taglienti rasoiate metalliche, lenti interludi Ambient e atmosfere tribali/ cerimoniali, è a tutti gli effetti una sorta di manifesto dell’album poiché ne incorpora tutti gli elementi chiave.
La produzione di Michael Zech (aka Arioch), chitarrista dei Gothic metallers Secret Of The Moon e della live line up degli stessi The Ruins Of Beverast, svolge un ruolo fondamentale nella definizione sonora dei numerosi passaggi atmosferici e nella loro integrazione all’interno dei brani, nonché nel conferire sfumature gotiche più accentuate che in passato. Concettualmente quella di The Ruins Of Beverast è una proposta colta, con liriche che, abbracciando storia, mitologia ed esoterismo, raccontano i più oscuri segreti dell’umanità.
Con “The Thule Grimoires”, Alexander von Meilenwald ci consegna un altro prodotto di indiscutibile valore artistico. È un chiaro esempio di come un musicista possa sperimentare nuove direzioni senza venire meno alla propria integrità (nel caso specifico è forse più corretto parlare di intransigenza) e senza perdere il contatto con le proprie radici. Come per tutti gli album di The Ruins Of Beverast, anche questo necessita di ripetuti ascolti per essere metabolizzato e pienamente apprezzato: un disco decisamente sconsigliato a quanti preferiscono soluzioni dirette e di immediata presa.