Recensione: The Time Of Great Purification
Sei full-length in sei anni.
Un traguardo considerevole, per gli statunitensi Pathology, sintomo di una feconda attività creativa e, perché no, di un’alleanza di ferro con la dea bendata. Due fattori che, concatenati, hanno reso la loro carriera assai compressa e frenetica – sia in sede live, sia fra le mura di uno studio – , culminante nell’uscita di quest’ultimo album, “The Time Of Great Purification”.
Ben sapendo che anche l’occhio vuole la sua parte, il combo di San Diego ha sempre curato l’aspetto grafico dei propri lavori, accompagnando con ciò il suo brutal death metal con soggetti colorati e ‘fumettosi’, passando dalla rappresentazione dei temi splatter/gore degli inizi a quelli dedicati, ora, alla manipolazione invisibile delle masse, alle cospirazioni. Un’attenzione per il dettaglio che, magari in misura minore rispetto agli altri due più sopra citati, può considerarsi come un altro elemento che abbia contribuito al successo della band.
Successo che, evidentemente legato all’underground dato atto del genere praticato, non prescinde – come del resto dovrebbe essere – dalla qualità della proposta musicale. Qualità assai elevata, bisogna dire, grazie alla competenza dei quattro membri, capaci di mettere in campo un death metal dall’alto tasso di tecnica tipico, appunto, del technical ma pieno sino all’orlo di brutale violenza sonora. “The Time Of Great Purification”, difatti, dura solo mezz’ora ma si rivela un osso duro da rodere anche per i denti più robusti e affilati. La concentrazione di energia per secondo è elevatissima, e costringe il cervello a una grande fatica per smaltirne gli effetti: tentare un ripasso dopo aver ascoltato il disco ad alto volume per una sola volta è un’impresa cui solo i più abili… incassatori riescono a vederne la fattibilità. A parte il continuo rombare del basso di Oscar Ramirez e l’immensa quantità di riff (e di soli) buttata giù dalla chitarra di Kevin Schwartz, i due ‘nemici dell’udito’ sono il vocalist, Jonathan Huber, e il batterista, Dave Astor. Il primo per via del suo spaventoso inhale, il secondo per il suo devastante drumming. Assieme, costruiscono un muro di suono assolutamente terremotante, gigantesco nella sua impenetrabilità. Huber non inventa nulla, a livello di linee vocali, ma il suo ‘suinare’ è tecnicamente perfetto e, soprattutto, smembrante, in grado di penetrare nei più reconditi anfratti dell’intestino animale. Astor, da par suo, è una specie di mitragliatrice umana, in grado di raggiungere le più alte velocità possibili in termini di BPM senza perdere un grammo di potenza, grazie a un uso travolgente della doppia cassa. Con il risultato, tirando le somme, di un sound pulito e tagliente ma, allo stesso tempo, vigoroso e possente. Un sound che non presenta evoluzioni particolari dallo standard abituale, ma che si conferma come punto di riferimento assoluto in materia di brutal death metal targato 2012.
Passando alle canzoni, c’è da dire che “The Time Of Great Purification” non poteva partire che in modo migliore: “Imprisoned By Fear”, con il suo incredibile riff portante, tinto sino all’osso di tenebra e oscurità, rappresenta lo stato dell’arte in materia. Tutto è perfetto. Dalla sequenza irresistibile dei ritmi, ai soli strappa-carne, ai rallentamenti, alle accelerazioni, al cantato. Un vero bombardamento sui denti che, però, mostra uno spessore emotivo non comune, a trattare di brutal death metal. Quel tocco dark in più, insomma, che rende la pietanza appetibile al 100%. A mano a mano che le song si susseguono, tuttavia, il CD si appiattisce un po’; sedendosi sul ‘già sentito’. È bene chiarire che sfaceli totali come “Corporate Harvest” e “Asphyxiation Through Consumption”, per esempio, non si sentono tutti i giorni. Lo stordimento da iper-velocità e la nausea da trance sonora sono sensazioni forti e gradite ai palati più robusti, ma non si riesce a ripetere quel ‘certo non so che’ presente nell’opener.
Comunque sia, “The Time Of Great Purification” si mantiene costantemente sui più alti livelli di qualità possibili della tipologia brutal, ponendosi ai vertici dell’industria manifatturiera di quest’anno. Rimane un pizzico di rammarico, nondimeno, derivante dal fatto che i Pathology non siano riusciti a ripetere con continuità un songwriting dimostratosi, in taluni momenti, davvero eccellente.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Tracce:
1. Imprisoned By Fear 2:14
2. Tyrannical Decay 2:48
3. Corporate Harvest 2:17
4. Torment In Salvation 2:25
5. Asphyxiation Through Consumption 2:39
6. Remnants Of Freedom 1:57
7. Dissection Of Origins 2:02
8. Distorted Conscious 1:47
9. A Bleak Future 3:02
10. Oppression By Faith 1:58
11. Cultivating Humanity 2:22
12. Earth’s Downfall 2:20
13. The Everlasting Plague 2:13
Durata 30 min.
Formazione:
Jonathan Huber – Voce
Kevin Schwartz – Chitarra
Oscar Ramirez – Basso
Dave Astor – Batteria