Recensione: The Time Traveler
Qualche anno fa a Roma, per la prima data romana di Hand.Cannot.Erase., Steven Wilson, durante il concerto, ha raccontato quanto gli piaccia suonare nel nostro Paese e specialmente a Roma, perché proprio nella nostra capitale i suoi Porcupine Tree hanno ricevuto il primo meritato bagno di folla, mentre in patria dal vivo non li ascoltava quasi nessuno. Qualcosa del genere era successa molti anni prima ai Genesis: mentre nel Regno Unito inizialmente erano perlopiù ignorati, in Italia li adoravamo. E non solo in Italia ma anche in Olanda e in Belgio e questi paesi sembrano ancora oggi alcuni dei più attenti alla scena progressive. Lo dimostrano gli olandesi The Black Fall, band di quattro elementi formatasi nel 2013 e che ha dato vita con questo The Time Traveler al suo primo disco, provando di essere molto attenti alle produzioni contemporanee con le loro influenze che vanno dai soliti Porcupine Tree, Opeth, Pink Floyd fino ai Meshuggah, Gojira e Periphery, solo per citarne alcune.
Quello che più mi ha colpito è che, mentre parte degli ascoltatori rimane ancora ferma a criticare gli ultimi Opeth, i The Black Fall prendono le mosse anche da questi, per esprimere una musica poliedrica, eccentrica ma coesa, che si evolve in una produzione personale e originale, dove anche i testi non sono solo un pretesto per la voce ma ingrediente fondamentale. La prima traccia, “A Threshold Of Love And Death“, tratta della paura della morte, quando invece si vorrebbe essere ricordati dopo la nostra dipartita. “Somni 45” (il titolo si rifà al nome di un personaggio di David Mitchells, affronta le tematiche della vita artificiale e delle false emozioni veicolate dai social network. “Modern Day Slave” trae ispirazione da Orwell e dal suo Animal Farm. La title-track “The Time Traveler” è stata scritta dal cantante, (com)mosso dalla grave malattia di un familiare e riflette la folle voglia di cambiare il passato, quando forse tutti rifarebbero gli stessi errori, le stesse scelte.
Musicalmente il lavoro dei The Black Fall è subito energico, violento, mentre dopo appena due minuti una bella chitarra acustica commuove e ci rapisce, per indurci a sedere e ad ascoltare con attenzione un flusso musicale contorto e di nuovo rabbioso ma molto interessante e piacevole in ogni suo aspetto. Gli strumenti si amalgamano a dovere, dandosi spazio a vicenda: per accenti di chitarra dal gran gusto, specialmente nella prima e nell’ultima traccia; per una batteria rabbiosa, in particolare in “Modern Day Slave”; per un basso creativo e non semplicemente complementare, notevole soprattutto nella title-track; sempre bella la voce, caratterizzata con proprietà, anche grazie agli effetti di gusto Wilsoniano, come all’inizio di “Sonmi 4.5.1″. I The Black Fall in circa tre quarti d’ora danno vita a un bel esordio con un album suonato con passione e vitalità, presentandosi come gruppo di talento e meritevole di attenzione.