Recensione: The Tower of Avarice
Dopo l’intrigante ed un po’ acerbo debutto omonimo del 1999, esaurito in breve tempo nelle duemila copie auto prodotte (in seguito ristampato nel 2003 dalla Sensory Records con il titolo di Metamorphosis), i californiani Zero Hour tornano a far parlare di sé con il loro secondo album, The Tower of Avarice, uscito nel 2001 e stampato dall’americana Sensory Records.
La musica che il quartetto propone è un prog metal tendente al math di ottima fattura, caratterizzato da sonorità e strutture ritmiche in grado di unire le partiture elaborate di Spiral Architect e Sieges Even alla violenta e spesso ossessiva complessità di Meshuggah e Watchtower.
The Tower Of Avarice è un concept album in grado di togliere il fiato a chi lo ascolta: la storia raccontata e la parte musicale si intrecciano ed interagiscono tra loro in un modo superbo, travolgono l’ascoltatore e lo scaraventano in mezzo agli eventi e, nella loro rapidissima successione, non gli concedono un attimo di respiro.
A dispetto della continua ricerca di suoni e soluzioni eccentriche da parte di molti gruppi prog, gli Zero Hour dimostrano che è possibile essere innovativi ed originali schierando la più banale delle formazioni: la chitarra di Jasun Tipton, il basso di Troy Tipton e la batteria di Mike Guy sono gli strumenti a cui è affidato il difficile compito di dare grinta, potenza e profondità al suono, compito reso ancora più impegnativo da una presenza tanto parsimoniosa quanto azzeccata di assoli e spalleggiato da alcune linee di tastiera suonate dallo stesso Jasun Tipton. Proprio lo scarso impiego di quest’ultimo strumento rappresenta un netto distacco con il passato della band: se in Zero Hour esso aveva un ruolo di primo piano nelle canzoni grazie agli esterni Matt Guillory e Phil Bennett, in The Tower Of Avarice la sua nuova funzione è quella di un “tappeto” che supporta e dà forza e presenza alle partiture, per poi riemergere con ed essere protagonista indiscussa nell’epilogo dell’album, The Ghost Of Dawn.
Il concept è suddiviso in sei sottoparti-canzone in cui ogni brano rivela un frammento di storia in più del precedente, dipanando a poco a poco la matassa degli eventi e servendola completa all’ascoltatore solo con l’ultima traccia.
I singoli brani presentano una struttura particolarmente ricca, elaborata e mutevole: ritmi sincopati ed ossessivi si tuffano in parti distese e melodiche, che a loro volta culminano ed esplodono in altre aggressive e violente. Tutto è destrutturato ed imprevedibile e con la stessa rapidità ci si può imbattere in suoni scarni ed essenziali come in Demise And Vestige, dove un ossessivo e ripetuto riff di basso cadenzato da fievoli tocchi di charleston è l’unico strumento a supportare il cantato di Erik Rosvold, ed un istante dopo si può essere sommersi dall’entrata in scena di tutti gli strumenti, complici di un suono impetuoso, potente e corposo.
The Tower Of Avarice parla di un’ipotetica società del futuro, priva di coordinate nello spazio e nel tempo, che si ritrova schiava dei propri ideali industriali ed oppressa dai doveri che schiacciano ed annientano le persone. Come recita l’incipit del disco:
“Disegnata come l’unica fonte di luce e di calore, una società diventa schiava di un ideale industriale privo di pensiero. La fame della torre per l’energia è così grande che gli esseri umani diventano la sua unica fonte di sostentamento. Lavorando fino alla morte per alimentare i suoi macchinari, la torre continua a crescere senza preoccuparsi del benessere delle persone. Fuori da tutto questo però vive il Sotterraneo. Questo auto proclamato salvatore vive al di sotto della società e crede di essere il solo in grado di liberare la società dal suo oppressore.
– Lui è la luna, esso è il sole. Lui eclisserà tutto quello che è stato fatto.
Lui porterà il rinnovamento attraverso la distruzione. Lui lo mostrerà… –“
Sebbene l’idea di base non sia certo nuova ed abbia importanti precedenti in campi come la letteratura e la cinematografia, al quartetto californiano va il merito di aver saputo giocare nel migliore dei modi con le parole, dove i testi un po’ ermetici, simbolici e ricchi di metafore riescono ad attraversare lo spazio ed il tempo fino ad avere un valore dannatamente attuale, il tutto condito da un finale beffardo: la libertà non la si conquista da un giorno all’altro semplicemente togliendo l’oppressore, ma è in primis un’attitudine mentale, e chi ne è scevro è condannato ad essere schiavo a vita, sentendo la necessita di essere in un modo o nell’altro comandato da qualcuno.
Non per ultimo va ricordato il bellissimo artwork dell’album, opera del designer grafico californiano Travis Smith, famoso per aver collaborato con decine di altre band tra cui Death, Testament, Opeth, Malevolent Creation, Nevermore, Pshychotic Waltz, e scelto anche dagli Zero Hour perché, oltre alle sue doti grafiche, era uno dei pochi in grado di rientrare nel loro ridotto budget.
Silvia “VentoGrigio” Graziola
Tracklist:
1. The Towers Of Avarice
2. The Subterranean
3. Stratagem
4. Reflections
5. Demise And Vestige
6. The Ghosts Of Dawn