Recensione: The True Shape Of Eskathos
Nelle assolate e multicolori lande della Riviera Ligure di Ponente, nella Riviera dei Fiori, cioè, è difficile che qualcuno nasca avendo insita, nel DNA, una spiccata inclinazione a tuffarsi nella malinconia nonché una particolare dedizione a vagare nelle imperscrutabili nebbie della depressione.
Difficile, inoltre, che nella terra della canzonetta emergano dall’underground musicisti dediti al metal estremo. Ancor di più, musicisti il cui obiettivo sia suonare il genere funereo per antonomasia: il doom.
In barba a un ambiente naturale e umano così ostili, questi coraggiosi artisti esistono davvero, e hanno pure un nome che li identifica: Plateau Sigma. Formatisi nel 2010, i quattro ragazzi della zona intemelia hanno dapprima dato alle stampe, nel 2012, un EP autoprodotto, “White Wings Of Nightmares”. Propedeutico, come spesso accade, al debut-album, intitolato “The True Shape Of Eskathos”, uscito da poco con la label Beyond… Productions e distribuito dalla Masterpiece Distribution. Anche se, occorre rimarcarlo per amore di verità, l’eccellente suono del disco è frutto, nuovamente, di una produzione eseguita ‘fra le mura domestiche’ e non in studi ad alto budget.
Rispetto a “White Wings Of Nightmares” il salto di qualità compiuto in avanti da Manuel Vicari, Francesco Genduso, Maurizio Avena e Nino Zuppardo è notevolissimo, tale da rendere difficile credere che fra esso e “The True Shape Of Eskathos” sia trascorso un solo biennio. Tuttavia, ‘così è, se ci pare’. Un balzo a tutto tondo, a 360°, che coinvolge tutte le parti costituenti un’opera di questo genere. Esecuzione e composizione sono azioni che mostrano con maggiore immediatezza l’evoluzione compiuta dalla formazione ligure. Non solo: a dimostrazione di questa maturazione c’è stato, per esempio, il coraggio di essersi appoggiati a musicisti esterni atti a rifinire e completare un sound già di per sé adulto. Un arricchimento, anche personale, rilevante, giacché indirizzato ad approfondire le emozioni, le sensazioni e i sentimenti sgorganti dal cuore del combo imperiese.
Significativo, a tal proposito, il lungo lavoro al sax svolto da Paolo Sapia nella trasognante “Ordinis Supernova Sex Horarum” e nella rarefatta, sensuale atmosfera di “Amber Eyes”. Oppure, il trillante flauto di Giorgio Conforti nel meraviglioso intermezzo strumentale di “The River 1917”, chicca musicale dal valore artistico assoluto in virtù di un’apertura melodica in grado di abbracciare l’aere dall’alba al tramonto.
A parere di chi scrive, però, i Plateau Sigma danno il meglio di sé quando pestano come si deve sui rispettivi strumenti, rabbuiando improvvisamente gli squarci di luce tagliati dagli strumenti a fiato sopra menzionati. È così che, in “Satyriasis And The Autumn Ends” come in “Angst”, emerge l’anima doom ‘più vera’. Quella metallica, dura, possente. Sempre ammantata, comunque, da un leggero e trasparente velo di armoniosità che tiene il doom stesso lontano dalle rudi esternazioni dei rozzi capostipiti del genere.
Ragionando in analogia con le più recenti progressioni del black metal, è come se “White Wings Of Nightmares” rappresentasse un embrione di ‘post-doom’; cioè di un genere che si radica nelle membra degli Antichi per svilupparsi in direzione anche diversa rispetto a quella classica del metal. Nella consapevolezza che, per restare coerenti ai dettami fondamentali della tipologia musicale di partenza, growling e riff iper-rallentati non possono e non potranno mai mancare. Esattamente come accade nella già menzionata “Satyriasis And The Autumn Ends”, capace di dipingere nella mente agghiaccianti visioni di anime vaganti nell’ignoto, intrappolate in un limbo di mestizia e disperazione.
Plateau Sigma epigoni di una nuova Era del doom? Ai posteri l’ardua sentenza…
Daniele “dani66” D’Adamo