Recensione: The Undivided Light
“The Undivided Light” è il quinto album dei Chaostar, gruppo nato come progetto parallelo di Christos Antoniou dei Septic Flesh e poi sviluppatosi sempre più nel corso del tempo, nonostante numerose scosse di assestamento a livello di formazione. A cinque anni dal precedente “Anonima”, i nostri tornano a diffondere la loro proposta musicale fatta di sperimentazioni elettroniche accostate a musica etnica, orchestrazioni ora inquiete ora pompose e derive ambient, il tutto permeato da un’atmosfera tendenzialmente oscura e inquieta e coronato da una voce femminile lisergica e dalla decisa impronta rituale che, in un paio di occasioni, mi ha ricordato vagamente Diamanda Galas. Prima di procedere lasciatemi dire una cosa, così ci leviamo subito il pensiero: qui di metal in senso stretto non troverete nulla, per cui se siete arrivati fin qua attirati dalla copertina aspettandovi un album power/gothic con cavalcate sinuose e voce suadente potete anche passate oltre; giusto per farvi un esempio, le chitarre compaiono solo in un paio di tracce, e anche qui sono solo un eco distorto e sporadico che si perde in un vortice sonoro fatto di archi, fiati, strumenti tradizionali, supporti elettronici, percussioni e vocalizzi solenni, fluendo in modo apparentemente libero ma al tempo stesso attentamente studiato per suscitare nel fruitore ultimo sia inquietudine che aspettativa. Sette tracce, ciascuna dotata di una propria personalità ma che, esattamente come i colori dello spettro luminoso, solo se vengono prese insieme compongono la luce a cui fa riferimento il titolo. Sette tracce, dicevamo, per tre quarti d’ora scarsi durante i quali i nostri quattro attici, coadiuvati da un nutrito parco di ospiti, veicolano il loro messaggio: “The Undivided Light” è un viaggio nelle emozioni sfaccettato e di sicuro non facilmente assimilabile con pochi ascolti, ma che difficilmente potrà lasciare indifferenti. Il solitario canto che apre le danze viene prima interrotto da serrate raffiche orchestrali dal profumo maestoso e poi sorretto dalle stesse, in un continuo duello/concerto in cui i due soggetti principali si studiano cercando di ottenere la supremazia sulla controparte, finendo per amalgamarsi sempre più; da qui in poi, il vortice sonoro si dispiega in direzioni spesso molto diverse, accostando elementi apparentemente inconciliabili ma senza perdere di vista né la destinazione né, tantomeno, il viaggio in sé per non scadere nel banale guazzabuglio musicale. Ecco allora che fraseggi placidi e contemplativi si fondono con parti narrate sostenute da un tappeto sonoro minimalista e crepuscolare, voci filtrate dialogano con altre più pulite mentre le tastiere serpeggiano come rampicanti su colonne ritmiche, a loro volta interrotte da sporadiche intromissioni dal minaccioso sapore cinematografico che sfumano, infine, in una calma quasi zen, salvo poi ripartire sotto lo stendardo di un lirismo fin troppo ostentato ma che si smorza grazie a una base elettronica, fino a pacate melodie mediorientali scandiscono il lento affievolirsi della luce di un ipotetico tramonto, distendendosi pigramente su dune di synth.
Il rischio di un progetto di questo tipo consiste nel perdere il senso della misura e infarcire ogni traccia di sovrastrutture inopportune per assecondare la propria megalomania, trasformando un lavoro ambizioso e complesso in un’opera inutilmente ridondante, prolissa e fin troppo autocompiacente; ebbene, se devo essere sincero ho più volte avvertito, durante l’ascolto di questo “The Undivided Light”, che si stava per superare il confine tra complessità necessaria e semplice onanismo musicale, e invece i nostri sono stati molto bravi a rimettersi, il più delle volte, prontamente in carreggiata. Certo, in un paio di occasioni il gruppo la tira davvero un po’ troppo per le lunghe (penso, ad esempio, al secondo quarto della lunga ma comunque molto affascinante “Silent Yard”), ma nella maggior parte dei casi le numerose svolte sonore si amalgamano piuttosto bene col resto delle composizioni, trasmettendo a seconda dei casi ansia, maestà, calma, urgenza, raccoglimento, inquietudine, esaltazione e pace. Mi si permetta, prima di chiudere, di menzionare in modo speciale la quinta traccia, “Mέμνησο” (Memniso), abile a saltellare da un mood all’altro con operistica facilità, e “Ying & Yang”, che chiude l’album in modo più placido e rilassante.
“The Undivided Light” non è sicuramente un album per tutti: la quasi totale assenza di elementi strettamente metal potrebbe scoraggiare buona parte dell’utenza media dall’approcciarsi a questo lavoro, mentre la sua struttura così particolare e poco accessibile (e se vogliamo anche un po’ snob, almeno a una prima lettura) darà il colpo di grazia agli ascoltatori titubanti, ma se ci si sofferma sulle emozioni che suscita piuttosto che sul modo in cui le suscita non si potrà fare a meno di considerarlo un ottimo lavoro.