Recensione: The Unearthly
Unearthly.
Un nome ormai leggendario nel panorama del metal estremo sudamericano. Attivi dal 1998, “The Unearthly” rappresenta il loro quinto full-length in ordine di tempo dopo il debut-album “Infernum – Prelude To A New Reign” (2002), “Black Metal Commando” (2003), “Age Of Chaos” (2009) e “Flagellum Dei” (2011).
Rispetto al precedente “Flagellum Dei”, i brasiliani hanno provveduto a registrare e missare il proprio materiale presso gli AM Studios, in Rio de Janeiro, e a farlo masterizzare da George Bokos ai Grindhouse Studios di Atene. Questa scelta, meno radicale rispetto a quella passata – cioè, di mettere su disco tutto quanto in terra polacca – ha sicuramente, a parere di chi scrive, un po’ riportato i nostri alle sonorità natie, invece che a quelle, non congenite, del polish death metal.
Sicuramente il (bellissimo) brano strumentale “Chant From The Unearthly Rites” echeggia come non mai di antichi riti autoctoni, ma è il sound in generale che ritrova, anche se non troppo, i richiami al black metal, genere originario della band carioca. La… polonizzazione pare essere un fenomeno irreversibile, nella mente di Felipe Eregion & Co., tanto è vero che restano a far bella mostra di sé brani assolutamente vuoti come “Where The Sky Bleeds In Red”, che vanificano irrimediabilmente ottimi pezzi come, per esempio, l’opener “The Sin Offering”. Ben costruiti su riff ordinati e puliti, la cui velocità è coerente, finalmente, con quella dei blast-beats di Braulio Drumond. Unitamente a una ricerca encomiabile del refrain, elaborato per stamparsi all’interno della scatola cranica. Eccellente, ancora, “Agens Mortis”, sostenuta da un mood drammatico, tetro, oscuro, maligno, e – di nuovo – da un ritornello da… hit.
Il resto del platter scorre con qualche difficoltà di troppo, gli Unearthly hanno raggiunto un tasso elevatissimo di tecnica strumentale. Esecuzione perfetta, nessuna sbavatura, procedure di registrazioni altrettanto irreprensibile. Per un sound alla fine privo di anima, di calore e/o di freddo, incapace, se non per i passaggi più sopra citati, di generare quelle visioni mentali che un genere come il death (per tacer del black) metal dovrebbero alimentare con grande energia e continuità.
Certo, un passo in avanti rispetto a “Flagellum Dei” c’è stato, soprattutto nel tentativo, spesso però fallito, di donare un poco di feeling al sound di “The Unearthly”. Gli Unearthly parrebbero avere in sé tutto quanto necessario per compiere il salto di qualità.
Fattispecie che, in questo momento, pare essere ancora una lontana chimera.
Daniele D’Adamo