Recensione: The Unknown
Due anni dopo gli ottimi risultati raggiunti dal precedente “Universe”, gli americani Edge Of Paradise continuano il loro sodalizio artistico con Frontiers Music e pubblicano, sul finire dell’estate 2021, il quarto album intitolato “The Unknown”.
Una line up in parte rimaneggiata, che vede Jamie Moreno alla batteria (in sostituzione di Jimmy Lee) e Ricky Bonazza al basso (a sostituire Vanya Kapetanovic), non sembra aver influito sulla creatività della band, capitanata sempre dalla suadente ugola della bella Margarita Monet, tra l’altro ancora responsabile delle trame tastieristiche che permeano questa nuova uscita discografica.
Musicalmente parlando, “Digital Paradise” spezza subito ogni indugio, risultando fluida, massiccia quanto basta ed orecchiabile nel suo prosieguo, senza mai sfociare nel mare della banalità.
Un ipnotico riff di chitarra e basso, accompagnato da un suggestivo tappeto tastieristico, inaugura la seguente e squisitamente rock “My Method Of Madness”, caratterizzata da una performance vocale squillante ed ispirata di una Margarita Monet perfettamente in prima linea.
Pur non tradendo la fede del classico Hard Rock, il songwriting degli Edge Of Paradise è piuttosto vario ed interessante, come dimostra la successiva “Total Wave”, che fa il paio con l’altrettanto melodica e profonda “The Unknown”.
Alla title track segue poi la bellissima “Believe”, che se da una parte dimostra nuovamente quanto la voce della Monet sia la vera punta di diamante nel sound degli Edge Of Paradise, evidenzia dall’altra una totale coesione di tutto il gruppo. Questo dettaglio contribuisce, in modo determinante, a rendere la proposta musicale assai solida e, nei limiti possibili, particolare.
Notevole è poi anche la seguente “False Idols”, che, almeno in parte, mostra abilmente il lato più aggressivo del combo a stelle e strisce.
Il livello dell’album resta alto anche nelle note della rocciosa “You Touch You Die” e nella più introspettiva “One Last Time” che, con sapienza, alterna momenti rilassati ad un refrain decisamente granitico e sempre sufficientemente orecchiabile.
Giunti ormai quasi al termine dell’opera, è palese come il gruppo si senta particolarmente a suo agio su ritmi cadenzati: esattamente questo si evince infatti dall’ascolto di “Leaving Earth”, pezzo che può contare su di una trama melodica assai ben concepita.
Belle sonorità teatrali animano anche “Bound To The Rhythm”, che anticipa una versione “Industrial Remix”, in verità del tutto inutile ai fini dell’album, della già ascoltata “My Method Of Madness”, vera e un po’ sprecata conclusione di un album comunque ben composto ed appagante dal principio alla fine.