Recensione: The Valentyne Suite
Il 1969 è stato sicuramente un anno fondamentale per il progressive rock, basti pensare a quel capolavoro di “In the Court of the Crimson King” per rendersene conto (uscì qualche mese dopo), ma quello è stato l’anno anche dei Colosseum, band inglese di derivazione jazz/blues che proprio in quell’anno sfornava i suoi primi due album, dopo il buono esordio, il grande disco arrivò proprio con questa uscita, che non è esagerato dire fonte d’ispirazione per decine e decine di band del movimento prog a seguire, e che rappresenta uno dei capostipiti del movimento progressive che si stava sviluppando proprio in quegli anni.
Dopo il buon ma non eccezionale esordio “For Those About to Die We Salute You”, ancora troppo legato a stilemi funky jazz, questa seconda prova del combo rappresenta il culmine della loro breve discografia, un’opera che segna il passaggio tra il rock dei ’60 e il progressive dei ’70. Inutile quindi aspettarsi stacchi alla Yes e trame chitarristiche alla Genesis, giacché il prog rock dei Colosseum si dimostra perfettamente riconoscibile e personale. Il disco si apre con “The Kettle”, perfettamente adatta per il ruolo di opener del disco, graffiante e nervosa, che si caratterizza per il grande lavoro di chitarra soprattutto negli assoli di hendrixiana fattura e dal ritornello particolarmente coinvolgente. La seguente “Elegy” è molto più jazzistica come approccio, guidata da un ottimo cantato e contraddistinta dai bellissimi assoli di sax di Dick Heckstall-Smith. “Butty’s Blues” è psichedelica, molto emozionante, si regge quasi esclusivamente sulla sezione di fiati, fino all’arrivo del cantato di Litherland che ne arricchisce l’impostazione molto suadente e sognante.
Ma il vero motivo per il quale questo disco sarà ricordato è la sua suite omonima, un’opera nell’oper. Credo non ci siano problemi a definirla capolavoro e che non sia assolutamente inferiore alle migliori suite del genere. Della durata di tredici minuti, “The Valentyne Suite” è divisa in tre atti. La suite si differenzia dal tutto il resto del disco per la sua struttura decisamente più progressiva, e va sicuramente ascoltata nella sua interezza e bellezza, tra momenti sognanti ed elettrici: più di dieci minuti assolutamente memorabili.
C’è da dire che è un peccato che un gruppo di questo talento abbia avuto una vita tanto breve, non raggiungendo più i picchi artistici di questo lavoro e rimanendo un po’ sottovalutato rispetto ai grandi nome del genere. Va però ricordato che da pochi anni si sono riformati, e dal vivo sono sempre qualcosa di incredibile.
Tracklist:
1. The Kettle (4:25)
2. Elegy (3:10)
3. Butty’s Blues (6:44)
4. The Machine Demands A Sacrifice (3:52)
5. The Valentyne Suite:
Theme One: January’s Search (6:25)
Theme Two: February’s Valentyne (3:33)
Theme Three: The Grass Is Always Greener (6:55)
Line-up:
– Dave Greenslade / Organ, Vocals
– Dick Heckstall-Smith / Sax
– John Hiseman / Drums
– Tony Reeves / bass
– James Litherland / guitar, vocals