Recensione: The Ventriloquist
Quattro anni dal precedente lavoro, “System Subversion”, e un importante cambio nella line-up: Daniele Colombo al posto di Eros Mozzi alla chitarra. Due elementi che caratterizzano “The Ventriloquist”, quinto full-length dei connazionali Methedras.
Un cambiamento non da poco, giacché Colombo partecipa attivamente al songwriting. Anzi, un mutamento pericoloso proprio per l’importanza che ha, in una band di metal, il ruolo di chitarrista. Unico, per giunta.
Tutto ciò, tuttavia, non ha affatto snaturato uno stile ormai codificato, cristallizzatosi attorno a un nucleo che si potrebbe definirsi trademark della formazione lombarda. Un marchio di fabbrica che identifica unicamente la formazione stessa, evidentemente matura sì da sopportare senza sussulti modificazioni sostanziali nella propria forma costitutiva.
Scendendo nel particolare, quindi, con il passaggio da “System Subversion” a “The Ventriloquist” non è venuto meno quel processo di deathtizzazione che lo stesso “System Subversion” aveva cominciato con la produzione precedente.
Il risultato, insomma, è che i Methedras sono sempre i Methedras.
Methredas tuttavia ancora legati a doppio filo con le sonorità thrashy, volte a donare al suono della band una chiarezza e limpidità notevoli, una pulizia esecutiva perfetta. Un taglio di tipo chirurgico che rende onore a un ensemble capace di esprimesi con scioltezza ai massimi livelli imposti dall’attuale panorama della musica estrema. Oltre a quell’indefinibile anima che è la cartina al tornasole per far propendere da una parte o dall’altra la corretta definizione tipologica, c’è anche da considerare il notevole contributo offerto dallo stentoreo growling di Claudio Facheris, oltre a una spruzzata, qua e là, di blast-beats. Eppoi la potenza. Notevole, a volte esplosiva, erogata in maniera costante, continua, senza che si abbiamo cali di tensione e/o indecisioni di sorta. Un muraglione di suono duro e compatto, eretto con destrezza e dovizia di particolari. La tecnica del palm-muting utilizzata da Colombo è semplicemente irreprensibile e aiuta ad aumentare indefinitamente la consistenza di detto wall of sound.
In ogni caso “The Ventriloquist” suona in maniera pressoché ideale, per il genere proposto. Ogni nota, ogni passaggio, ogni assolo, sono facilmente percepibili e quindi altrettanto facilmente digeribili, anche a chi – magari – non è abituale frequentatore delle lande più oltranziste del metallo.
E, a proposito di suono, è da rilevare l’importanza assunta dalle tastiere. Che, in sottofondo, cuciono con le loro trame le varie song, a volte in maniera quasi impercettibile, a volte a sostegno di ritornelli particolarmente accattivanti (‘Blind’). Ecco, le canzoni. I Nostri devono aver svolto un gran lavoro, a livello compositivo, poiché ogni episodio di “The Ventriloquist” vive di vita propria. Diversificandosi l’uno dagli altri ma mantenendo ben salda la comune fedeltà al ridetto trademark. Proseguendo con i passaggi, dopo nemmeno troppe volte s’incominciano a memorizzare i pezzi, ciascuno dotato di una notevole personalità (‘Dead Silence’). Particolarmente assassini quando il ritmo è inizialmente quello dell’up-tempo, che successivamente diventa speed-tempo e quindi blast-beats, come accade nella furibonda ‘Fire Within’. Oppure il contrario (‘Stab Me Again’).
Poco altro da dire, se non che i Methedras rappresentano ormai un tassello importantissimo nel mosaico del death metal italiano. Non hanno nulla da invidiare a nessuno, in tutto il Mondo. Che possono aggredire con determinazione per compiere il grande salto, assolutamente alla loro portata.
Daniele “dani66” D’Adamo