Recensione: The Verdict
«I Am Noah and I’m tired. I’m tired of people who distinguish themselves with their income, uniform, skincolour, religion, gender or nationality to affect everything and everyone. I’m tired of being closely watched. I’m tired of living in a society, which dictates who to be or not. I’m tired of facing people’s failure in their attempt of making life better, whilst being deported and called illegal or haunted just because of their religion. I’m tired.. I’m done. I just wanna abscond from this routine. Who’s in? I Am Noah. Who are you?»
Noah è un personaggio immaginario, un osservatore. Critico, assai critico, che guarda la società degli uomini. Li scruta, ne valuta i comportamenti. Alla fine è stanco. Stanco di constatare quanto essa sia basata su valori effimeri, distorti, caduchi.
Così, da Noah nascono, nel 2015, i tedeschi I Am Noah, quintetto di metalcore che ci impiega davvero poco, a incidere il debut-album. Detto, fatto. Eccolo qui: “The Verdict”, uscito il 13 maggio 2016 per la Bastardized Recordings.
Metalcore purissimo, allineato alla perfezione ai dettami stilistici che ne tracciano univocamente la forma: harsh vocals, giganteschi breakdown, discese asfittiche nelle più basse frequenze udibili da orecchio umano, ritmo scoppiettante e, ultima ma non ultima, melodia. I tremendi stop’n’go spezzano la schiena, spingono in ginocchio, colpiscono la nuca per stampare il viso sulla terra. Per ciò, gli I Am Noah sono delle terribili macchine da guerra. Potenti, possenti, devastanti. Ma, pur sempre, una moderna realtà di melodic metalcore. Quello che teoricamente dovrebbe acchiappare per la collottola più teenager ingellati possibile, ma che in realtà si rivelano degli ossi durissimi da rodere, per chiunque.
Altro che song morbidamente accattivanti: ‘Rise of Mankind’, ‘Embrace the End’ e le altre compagne di viaggio sono delle randellate nei denti. Fanno male, molto male. Le chitarre erigono un muro di suono invalicabile, la batteria è maltrattata con dei pestoni paurosi, accelerazioni e rallentamenti subitanei lacerano le carni, divorano i timpani.
Se non fosse che, a lenire la sofferenza, ci sia, sempre, costantemente, quella malinconica armonia che solo i migliori ensemble di metalcore (Devil Sold His Soul su tutti) riescono a trasfondere nella loro musica, come si rileva nell’incipit della title-track, per esempio, e nelle ariose aperture melodiche che la medesima ‘The Verdict’ elargisce con delicata intensità. Attimi. Istanti. Perché, poi, l’incidere deciso e marcato della macchina-I Am Noah non lascia spazio a romantici voli pindarici, aumentando irreversibilmente la forza motrice e la consistenza dei ritornelli. Che è il momento dell’hit (ma non troppo: la potenza in gioco è troppa, per le orecchie sensibili…) ‘If Life Could Be the Answer’.
Pur non essendo materia specifica del metalcore, soprattutto quello melodico, i Nostri non si difettano dal bombardare le gengive con una gragnuola martellate, materializzatesi negli attacchi con i blast-beats che stravolgono l’incedere, sempre vivace e coinvolgente, di brani come ‘Drowned’.
Certo, alla fine non è l’originalità e l’innovazione, che si possa trovare in un’opera come “The Verdict”. Tuttavia, essa rappresenta lo stato dell’arte in materia, e gli I Am Noah fanno alla fine quasi paura, per la loro maturità sia tecncia, sia artistica.
Promossissimi.
Daniele D’Adamo