Recensione: The Vibrant Sound Of Bliss And Decay
Ok, non è il caso di fare nomi, paragoni e altre amenità buone solo per scatenare inutili polemiche. Ipotizziamo che ognuno abbia – come giusto che sia – i suoi capisaldi e i suoi metri di paragone non imposti da stilema alcuno. Detto questo, prendete un non disco dei Cea Serin (attenzione: NON disco) e rapportatelo a ciò che c’è in giro oggi in ambito progressive metal.
Non sussistono quindi affermazioni del tipo: “Eh ma gli altri là hanno fatto la storia” , “Eh ma è una minestra riscaldata che non inventa niente”, “Eh ma mi stai propinando una band underground col nome impronunciabile solo per fare il figo”, “Eh ma mia nonna nei tortelli di zucca non mette l’amaretto” ecc.. Lasciamo quindi da parte la fiera del patetico blaterante online e usiamo tutto lo spazio a nostra disposizione per parlare di un non disco (attenzione: NON disco) che di gente, tirate le somme, ne manda a casa davvero parecchia.
Partiamo dai concetti: perché parliamo di un non disco? “The Vibrant Sound Of Bliss And Decay” nasce per colmare il gap tra il primo e unico full length della band, “…Where Memories Combine…” (un capolavoro) e “The World Outside” che ne rappresenterà il secondo parto ufficiale. A detta dei nostri, operazione necessaria in quanto gli stili dei due dischi risulterebbero discontinui senza una sorta di “ponte” ad unirli; un’opera in grado di collegare il passato e le radici col prossimo futuro. “Holy Mother” e “The Illumination Mask” sono entrambi brani provenienti dal primissimo Ep prodotto dai nostri, “Chiaroscuro”, ormai oggetto per collezionisti e praticamente introvabile, trovano qui una dimensione più consona e un suono di batteria più reale rispetto alla drum machine impegnata originariamente. “Ice” è una cover di Sarah McLahan, mentre il materiale recente e inedito arriva con le conclusive “The Victim Cult” e “What Falls Away”.
“The Vibrant Sound Of Bliss And Decay” sembra una sorta di lunghissimo Ep inspiegabilmente presentato a tutti gli effetti come un nuovo album dalla label, misteri del marketing. Detto questo, il presupposto di base dell’opera è reso alla perfezione: le differenze stilistiche sono percepibili e furbamente separate da una cover che è oltretutto una ballad. Il primo periodo della band è contraddistinto da un progressive metal classico con un tasso tecnico medio/elevato; forti influenze power a livello vocale intervallate da scream e parti più aggressive. Praticamente le coordinate che, potenziate, resero “…Where Memories Combine…” un disco personale e imprescindibile nella discoteca di un qualsiasi appassionato di prog degno di questo nome. Tralasciamo per ovvi motivi “Ice”, preferendo lasciare i giudizi sulle cover a piena discrezione del singolo, e spendiamo due parole sulla direzione che sta per arrivare. “The Victim Cult” e la monumentale “What Falls Away” (20 minuti tondi tondi) ci danno confortanti segnali sullo stato di forma dei Cea Serin e ci fanno ben sperare per il futuro: subentrano momenti più “easy”, etnici, acustici, ottantiani e chi più ne ha più ne metta.
La band è strumentalmente fenomenale e dal numero quasi eccessivo di idee; l’esecuzione è impressionante per pulizia e soprattutto per un songwriting di livello stellare. E’ qui voluta la scelta di non approfondire più di tanto, una sorta di non recensione a un “non disco” con lo scopo ben preciso di incuriosire piuttosto che descrivere noiosamente.
Beh? Siete ancora qua? Filate a scoprire i Cea Serin! Se c’è una band al mondo che merita di sfondare, sono loro. Enormi.