Recensione: The Void

Di Tiziano Marasco - 8 Ottobre 2012 - 0:00
The Void
Band: Beardfish
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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78

Tornano gli svedesi Beardfish, con la torrenzialità prosopopeica che da sempre li contraddistingue e che li ha portati a ben 5 uscite di studio negli ultimi 6 anni. Torrenzialità che si riversa anche nei loro dischi, non escluso questo nuovo The Void (titolo quanto mai fuorviante), nel quale Rikard Sjöblom e soci spostano ancora più in là la loro proposta, per un effetto finale che vi lascerà indiscutibilmente frastornati e lassi, data la enorme varietà di stili che questi ragazzi riescono a mettere in riga. Prendete più o meno chiunque, Yes, Camel, Can, Van der Graaf, King Crimson, IQ, Marillion, Spock’s Beard, Dream Theater, Voivod, Nevermore e Mekong Delta, poi triturate in Moulinex come direbbe il profeta. Ma lasciate pezzi belli grossi, in modo che una influenza sia preponderante sulle altre. Subito dopo i nostri si rifaranno senza alcun problema ad un gruppo completamente diverso, con uno sballottamento fonico che potrebbe costare la pazienza a qualcuno tra i meno avveduti. Tant’è che per riassumere appieno questo Void, più che di un track by track, dovremmo avvalerci di una analisi delle singole parti che vanno a comporre le singole canzoni (tipo toc by toc?). Impresa nella quale, per il bene nostro e vostro, non ci avventureremo, altrimenti la recensione passerebbe le 5 pagine.

Ad ogni modo è innegabile che l’album si apra in modo tanto spiazzante quanto fuorviante, con due pezzi saturi di elettricità sullo stile del prog-deat degli Enchant, con linee vocali insolitamente abrasive e pure un bel po di growl ad introdurre Volontary slavery, pezzo violento e tirato dall’inizio alla fine. Ad essa segue Turn to gravel, un pezzo di impostazione simile anche se dotato di una strofa pressoché inafferrabile ed in costante mutazione, un brano che, in fase d’esecuzione, richiede senza dubbio maestria e coordinazione notevoli.

Finite queste due però, i toni cambiano, rallentano bruscamente, indietreggiano di 30 e passa anni. Le composizioni si fanno anche più arzigogolate, alle chiterre subentrano le tastiere, tessitura fonica molto soffice, una voce pulita e duttile, quella tipica di Sjöblom. Viene così fuori un brano come They whisper, permeato da una tensione latente, sempre sul punto di esplodere, ma che alla fine non esplode mai. Emerge Seventeen again, strumentale da 8 minuti, tributo alle tastiere, che spazia con estrema naturalezza tra Jazz da piano bar, cabaret stile Dresden Dolls e Jordan Ruddess. Ancora imperdibile la megasuite The Note, che malgrado i 15 minuti si rivela un pezzo insolitamente accessibile, estremamente tranquillo ed estremamente affascinante. Forse il migliore, dotato,  finalmente, di melodie comprensibili e e una struttura semplice, fatta soltanto di una lunghissima digressione strumentale tra il secondo e il terzo ritornello.

Da tal punto di vista lo svolgersi dell’album risulta assai ben studiato, che presenta in apertura pezzi molto duri e complessi, in costante divenire e di assimilazione tutt’altro che semplice. Dopo di che assistiamo ad un progressivo smorzarsi delle atmosfere, coronato nei brani di coda da una nuova semplificazione strutturale, così che l’ascolto non risulta pesante come ci si potrebbe aspettare. Sicuramente una scelta azzeccata, unita al fatto che, davvero, non c’è nulla da buttare.  

Insomma i Beardfish si confermano per band interessante e di qualità elevatissima. Questo Void, rispetto ad altre produzioni degli svedesi, potrà far storcere il naso ad alcuni a causa dei primi pezzi, tanto più duri da risultare un po’ fuori posto all’interno dell’album. Addirittura pare di sentire un determinato gruppo per venti minuti, e tutt’altra band nei successivi cinquanta. Dall’altro vi sarà chi non risparmierà lodi all’impareggiabile trasformismo del quartetto. Ora, i primi possono togliere 5 punti alla valutazione sottostante, i secondi possono aggiungerli.  

Tiziano “Vlkodlak” Marasco    

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Tracklist

01. Intro (by Andy Tillison) (00:30) 

02. Voluntary Slavery (06:33) 

03. Turn To Gravel (05:30) 

04. They Whisper (06:06) 

05. This Matter Of Mine (07:06) 

06. Seventeen Again (07:44) 

07. Ludvig & Sverker (08:06) 

08. He Already Lives In You (06:38) 

09. Note (15:50) 

10. Where The Lights Are Low (05:41) 

11. Ludvig & Sverker Solo Piano Version (06:34)   

 

Line up

Rikard Sjöblom : Vocals, Guitar, Keyboard

David Zackrisson : Guitar, Back Vocals

Robert Hansen : Bass, Back Vocals

Magnus Östgren : Drums

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