Recensione: The Voyager through the Void
Esordio discografico per gli spagnoli The Mystery Hall, band tra le cui file figura Tony Baena, uno dei virtuosi delle sei corde più stimati nella scena locale. E’ dunque una proposta che punta comprensibilmente sulle chitarre quella della neonata band iberica, saldamente ancorata alla tradizione progressiva, ma che non disdegna guardare al nuovo continente quando vuole avvicinarsi all’hard rock e al vecchio quando si rifugia nelle melodie dirette del power.
Tra tante influenze, gli insegnamenti di Satriani e Malmsteen in particolare sono evidenti fin dalle prime note dell’opener Sudden Recall, pronta a mettere in evidenza anche le irrinunciabili tastiere e un audace singer, Rafael Morata, che a qualcuno potrebbe ricordare il collega finlandese Tony Kakko (Sonata Arctica), non solo per questioni di timbrica ma anche per la tendenza ad assestarsi su tonalità medio-alte . Il parallelo diviene evidente soprattutto in pezzi come la power-oriented Pushed By the Waves o l’ottantiana Disbilief – Set Me Free, mentre si fa più evanescente in pezzi come la valida A Brand New Day, tra gli apici del disco, affine a coordinate più vicine al Bon Jovi prima maniera.
Nonostante l’apparente disorganicità della proposta, l’insieme è compatto e coerente – pure troppo forse, e alla lungo l’eccessiva linearità può stancare – tant’è vero che gli effettivi problemi vengo da tutt’altro ambito. Un ambito purtroppo cruciale, e cioè quello del songwriting. Non che manchino brani validi, soprattutto nella prima metà della tracklist (In the Roar of Extasy e Underground ne sono validi esempi), ma al buon tasso tecnico dei musicisti, non solo di Baena, non corrisponde purtroppo un adeguato impulso creativo, capace di mantenersi costante per tutta la durata dell’album. Ecco dunque l’indice di gradimento precipitare con rapidità preoccupante in presenza di pezzi quali la piatta Words and Stone, la sconclusionata Castaway of the Sky, o l’inefficace Quicksand Love, i cui spunti interessanti sono martoriati da soluzioni melodiche e vocali troppo forzate. E non basta un ultimo acuto a titolo Shambala, bella strumentale orientaleggiante dedicata al mitico regno che la leggenda vuole nascosto tra gli impervi picchi dell’Himalaya, a sollevare l’album dal limbo della mediocrità.
L’autentico limite di The Voyager through the Void sta a conti fatti nell’alternanza tra passaggi brillanti e momenti di oscurità creativa, o più precisamente in una generica piattezza in fase dei composizione, le cui cause sono probabilmente da rintracciarsi in una fondamentale carenza di personalità. Ciò va a incidere non solo sulla freschezza della proposta, e su questo si potrebbe sorvolare, ma anche sulla qualità dei brani, che tra valli e cime non particolarmente pronunciate non riescono a distaccarsi dalla media della proposta odierna. E questo è problema ben più serio.
Le basi per un prossimo salto di qualità ci sono, ma serve qualcosa in più per staccarsi dalla massa di piccoli gruppi che affollano la scena prog-power, o anche il più puro dei talenti finirà per sfornare solo dischi onesti, discreti, e nulla più.
Tracklist:
1. Sudden Recall (05:14)
2. In The Roar Of Ecstasy (05:20)
3. Pushed By The Waves (05:35)
4. Underground (05:40)
5. Like a Tumbleweed (04:38)
6. A Brand New Day (06:12)
7. Words And Stone (05:06)
8. Quicksand Love (06:16)
9. Disbelief – Set Me Free (05:58)
10. Lord and Master (04:34)
11. Castaway Of The Skies (04:21)
12. Shambala (Instrumental) (05:14)