Recensione: The Way of Pain
I Dyecrest esordiscono sotto le insegne della blasonata Noise Records e possono vantarsi della produzione sonora di un gigante del metal tedesco come Piet Sielck. La band finnica è autrice di un heavy metal corposo e dinamico che spesso si sposta verso soluzioni power senza disdegnare costruzioni più cadenzate e ortodosse. Questo primo “The way of pain” non è un lavoro da sottovalutare sotto il livello qualitativo e artistico.
I Dyecrest hanno inventato l’acqua calda e certamente non troverete nulla di particolarmente innovativo tra i solchi di questo disco ma certamente la band dimostra una capacità compositiva spiccata e una personalità musicale che meritano il massimo plauso. Non aspettatevi un gruppo seguace degli ormai notori Gamma Ray & Co. questi ragazzi hanno le idee chiare in testa e puntano con coraggio su composizioni potenti e articolate che sono dedicate a chi ama il metal nella sua veste più ambiziosa e impegnativa. Non pensiate di essere al cospetto dell’ennesimo disco targato Sielck che suona identico ai lavori degli Iron Savior perchè il calvo e risoluto chitarrista tedesco ha posto la sua firma su questa produzione senza imporgli un marchio troppo evidente e preservando al massimo la personalità della band. I Dyecrest guardano lontano, hanno assimilato l’ultima decade di metal europeso ma hanno anche imparato a elaborare con ispirazione le varie componenti della loro musica riuscendo ad amalgamare uno stile preciso che non sembra plagiato da altre band, questo senza dubbio è uno dei pregi migliori del disco. C’è tanto metal americano tra le canzoni di questi ragazzi, non si tratta di riferimenti espliciti ma si percepisce una vicinanza generica con i Metal Church e con il loro modo si impostare i pezzi, ci sono anche alcune atmosfere care ai Riot più pesanti ma si tratta di sensazioni vaghe e credo non ci siano paragoni precisi con band della scena passata o presente. Le chitarre vengono impiegate in modo da costruire un potente muro sonoro dalle tinte oscure e dinamiche ma la band dimostra di saper spaziare con personalità tra parti veloci e movimenti più cadenzati in modo da non annoiare mai l’ascoltatore. In questo senso la sezione ritmica è sviluppata in maniera ambiziosa e convincente, la band ha un grosso potenziale tecnico da esprimere e cerca di non scadere mai in soluzioni sonore di facile presa, questa scelta selezionerà molto il pubblico dei Dyecrest ma credo che alla fine si dimostrerà vincente.
Il disco incomincia con “For all the weak” e immediatamente i Dyecrest mostrano di saper comporre un heavy metal potente e aggressivo, i refrain del ritornello sono coinvolgenti ma i nostri si guardano bene dall’eccedere in soluzioni di facile presa puntando su un dinamismo che mi ha convinto davvero. Più veloce “Into the void” pone i Dyecrest al cospetto dei canoni power tedeschi, ma anche in questa situazione la band dimostra personalità e classe puntando su costruzioni cambievoli e ambiziose che richiedono qualche passaggio per poter essere assimilate. Il ritmo cadenzato di “Made me believe” genera una atmosfera minore e vagamente malinconica ma la band non scade in uno slow tempo insipido riuscendo a mantenere inalterata l’energia delle canzoni precedenti. Il disco si incendia nuovamente con “Last man standing” un brano dal potenziale live innegabile, mi è piaciuta molto l’impostazione compositiva di questa canzone che possiede una velocità notevole ma anche molti spunti personali e ispirati. Più semplice e meno riuscita “Lost faith” ha sicuramente un appeal molto coinvolgente ma finisce per ripetersi un poco nel finale rovinando il tiro del pezzo. Meglio arrangiata e maggiormente interessante “The game” ripropone la band alle prese con strutture ritmiche di grande effetto e le solite soluzioni ambiziose piacevolmente inedite. Con “Kneeling down” il gruppo sforna una canzone facile da memorizzare ma comunque elegante e ispirata senza perdere la classe compositiva che ha fatto da comune denominatore fin qui a tutto il disco. Bella “All in vain” che sembra avvicinarsi al discorso artistico degli ultimi, personalmente geniali, Sonata Arctica, non pensiate di trovarvi di fronte a un pezzo eccessivamente veloce o melodico, anzi la band punta su costruzioni elaborate e coinvolgenti anche in questo caso. Non meno ispirata “Until death do us part” possiede connotati di matrice statunitense amalgamati insieme a strutture ritmiche cambievoli, una bella prova compositiva. Il disco termina in maniera convincente con la potenza di “With pain” una nuova dimostrazione del talento della band finnica.
Certamente tra voi ci sono lettori che non sono interessati al power metal, di sicuro questo disco non cambierà la loro opinione, ma ai ragazzi che come me amano questa musica e il metal classico in generale credo che questo “The way of pain” piacerà molto, ascoltatelo con attenzione prima di esprimere un giudiszio negativo.
For all the weak
Into the void
Made me believe
Last man standing
Lost faith
The game
Kneeling down
All in vain
Until death do us part
With pain