Recensione: The Wayward Sons Of Mother Earth
Come ogni favola che si rispetti, verrebbe da iniziare dicendo: «C’era una volta…». Il più classico e sfruttato degli incipit si presterebbe bene al fine di accingersi a raccontare la storia dei britannici Skyclad. Pagine di un libro fiabesco sulle quali sono stati impressi dei capitoli memorabili, altri forse meno straordinari, ma sempre coinvolgenti e pieni di fascino. Nel corso della loro storia si sono avvicendati molti dei personaggi principali e uno dei due protagonisti, nonché voce narrante, non fa più parte della novella. Tuttavia non essendo ancora stata scritta la fatidica parola Fine, il proseguimento potrebbe riservare nuovi sviluppi inaspettati.
Tutto ha inizio, quasi per gioco, nel 1990 in un fosco e pittoresco pub di Newcastle, Upon Tyne, luogo scelto per l’incontro tra l’eccentrico e geniale frontman Martin Walkyier, appena uscito dai thrasher Sabbat e Steve Ramsey, eclettico e dotato axeman, proveniente dall’esperienza ultradecennale nei Satan prima e nei Pariah poi (come sempre seguito anche dal valido bassista e fedele scudiero Graeme English). I due pensarono a un progetto ambizioso e fuori dall’ordinario, pur avendo, a detta loro, in mano solo un riff (e ovviamente una pinta di birra nell’altra) e qualche stralcio di lyrics: ovvero creare ‘the ultimate pagan metal band’.
L’idea iniziale, non prendendosi troppo sul serio, fu quella di formare un side-project nel quale fare confluire il proprio background heavy/thrash con il folk rock di gruppi come New Model Army e Levellers in virtù del loro particolare uso del violino e di adottare calzamaglia e costumi stravaganti in stile Robin Hood (ben presto abbandonati …) compreso brandire delle spade per rievocare e far rivivere l’immaginario medievale, fatto di culti pagani, di rituali celtici e così via. A ben vedere, comunque, se prendiamo in considerazione il concept scritto da Walkyier per “Dreamweaver” dei Sabbat (ultimo album in studio col biondo crinito singer) tratto dal libro “The Way Of The Wyrd”, troviamo un primo decisivo indizio per comprendere l’evoluzione del suo percorso artistico/spirituale. Il moniker designato poi si riferisce alla pratica della nudità nei riti wicca in segno di uguaglianza: vestito (clad) solo dal cielo (sky).
La notizia dell’uscita di “The Wayward Sons Of Mother Earth” (1991) fece il giro dei metalheads sparsi per il globo tra ilarità diffusa e scetticismo, nonostante ottime recensioni. Anche senza considerare l’anacronistica attitudine, com’era possibile riuscire a far convivere il thrash, visti i trascorsi di Walkyier e di Ramsey, con il folk e ancora di più con il suono dei violini? Per questo stesso motivo però la curiosità serpeggiava tra le fila dei più open-minded e i due volponi scelsero di non cambiare radicalmente l’approccio al songwriting a loro più confacente e di dosare le apparizioni del violino e compagnia bella (sì da non scontentare i fan acquisiti in precedenza). Le vendite dell’album furono incoraggianti e convinsero di conseguenza i Nostri a dedicarsi a tempo pieno alla causa Skyclad provando a osare e sperimentare maggiormente. Già dal successivo “A Burnt Offering For The Bone Idol” (1992), ancora un disco di matrice thrash, il suono del fiddle divenne quasi una costante. La prima vera svolta comunque arrivò con il fenomenale trittico “Jonah’s Ark” (1993), “Prince Of The Poverty Line” (1994) e “The Silent Whales Of Lunar Sea” (1995), che definirono le coordinate per il neonato pagan metal e chiusero il periodo Noise Records. La vena compositiva del gruppo non si era esaurita e, infatti, continuarono a sfornare release ad alto livello spingendosi sempre più verso il folk (o pagan se preferite) metal: dal loro best seller “Irrational Anthems” (1996) fino al controverso e molto heavy “Folkémon” (2000), al quale seguì purtroppo la dipartita del novello bardo Walkyier.
Dopo aver fatto chiarezza sul lento e progressivo avvicinamento al genere di sonorità che li ha resi celebri (per evitare probabilmente di fare il cosiddetto passo più lungo della gamba) e nonostante la carriera degli Skyclad non termini qui, ritorniamo a concentrarci sul seminale debut-album “The Wayward Sons Of Mother Earth”. La prima cosa che salta agli occhi è l’azzeccata copertina con l’araldico grifone a due teste disegnata dal compianto Garry Sharpe-Young (Grim Reaper, Queensrÿche, Savage, Scorpions, …). La seconda, sulle note dell’opener “The Sky Beneath My Feet”, è la perfetta produzione di Kevin Ridley, inaugurando così un sodalizio all’apparenza inscindibile – a partire da “Vintage Whine” si affiancherà a Ramsey come secondo chitarrista e poi anche dietro al microfono al posto dell’uscente Walkyie. La canzone inizia con una solenne introduzione che suona come un invito a unirsi alle danze e poi sfocia nel più tipico dei riff thrashy di Ramsey con vari stop’n’go che s’intrecciano al frenetico movimento dell’archetto del session-man Mike Evans. Strofa e ritornello sono lunghi ed elaborati in stile Sabbat, dove Walkyier dà libero sfogo alla propria vena lirica ispirandosi a “Il pifferaio di Hamelin” (o “Il pifferaio magico”) dei fratelli Grimm:
«FOLLOW ME–follow and I will lead, With truth that hurts like stick and stone. When rats that scuttled ships departed– Birds of a feather sought their own» […] «When hearts shielded by conviction–keeping beats so pure and strong, Are at last as one united (a communion of steel–The Sword of Song). We gathered together as sister and brother to dance when the world was abed».
Nella successiva e variegata “Trance Dance (A Dreamtime Walkabout)”, il carismatico frontman riprende il precedente discorso, illustrando lo spirito che anima idealmente l’ensemble:
«Where the past meets the present we walk hand in hand, Barefoot and naked–but kings of our land, The souls of my forefathers course through my veins as I watch the sun sink ‘neath these ancestral plains» […] «Watch us skip the dark fantastic–silhouettes against the sky, Bodies bathed in starlit twilight–high above our spirits fly».
E nel seguente stacco progressivo, orchestrato dal suono rotondo del quattro corde di English, sussurra:
« Every picture tells a tale of hidden wisdom they have found, Man is just a part of nature–not the other way around».
“A Minute’s Piece” è un corto strumentale di basso che introduce a “The Widdershins Jig”: come suggerisce il titolo, vero e proprio manifesto e capostipite del genere. Una ritmata ballata elettrica dal retrogusto malinconico orchestrata, questa volta, proprio da Evans che, nel finale, si ritaglia un breve siparietto, ma anche dalla sezione ritmica con Baxter in testa, perfettamente adattabile anche ai mid-tempo. “Our Dying Island” dall’alto dei suoi sette minuti, vede il ritorno sugli scudi di Ramsey. Dopo una prima intricata sezione di stampo NWOBHM che s’interrompe con un intermezzo di Fiddle, riparte con una bruciante accelerazione megadethiana e un paio di soli di chitarra che lasciano il segno. “The Cradle Will Fall”, anticipata da un intro parlato (“Pagan Man”), e l’anthem “Skyclad” sono i brani simbolo del pensiero e delle capacità compositive del combo di Newcastle. Invito tutti a leggersi i profondi testi – dai contenuti attualissimi anche dopo venti anni – dell’esperto rimatore Walkyier: ricchi di giochi di parole, termini arcaici e strofe dalla metrica personalissima. Non è da meno però Ramsey, pronto a musicare con soli ricchi di pathos dal gusto orientaleggiante o ritmiche affilate e serratissime ogni minima variazione degli stati d’animo cantati. E così sulle note acustiche e sognanti di “Moongleam And Meadowsweet”, le parole si fanno poetiche e suadenti. La conclusiva “Terminus”, invece, è la traccia più oscura dell’album, una lenta strofa funerea che sfocia in un cupo e pesante riff portante e raggiunge poi il suo apice nel solo centrale, semplice ma efficace.
“The Wayward Sons Of Mother Earth” è un platter assai convincente e longevo, anche se leggermente acerbo. Un disco fondamentale per l’innovativa carriera degli Skyclad e per lo sviluppo del (sotto)genere folk metal, pur essendo ancora aggrappato con forza all’heavy metal e al thrash della vecchia e cara Terra d’Albione.
Orso “Orso 80” Comellini
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Track-list:
1. The Sky Beneath My Feet 5:41
2. Trance Dance (A Dreamtime Walkabout) 5:29
3. A Minute’s Piece 1:10
4. The Widdershins Jig 3:40
5. Our Dying Island 7:07
6. Intro: Pagan Man 1:00
7. The Cradle Will Fall 6:26
8. Skyclad 5:01
9. Moongleam And Meadowsweet 4:35
10. Terminus 6:38
All tracks 47 min. ca.
Line-up:
Martin Walkyier – Vocals
Steve Ramsey – Guitar
Graeme English – Bass, Acoustic Guitar
Keith Baxter – Drums
Mike Evans – Violin