Recensione: The Window of Life
Eccoci alle prese con “The Window of Life” platter targato 1993 che si colloca a metà strada tra due perle della band ovvero “The World” del 1991 e “The Masquerade Overture” del 1996. Il perché sia importante, al di là del richiamo alla collocazione temporale è che rispetto a “The World” il disco sotto esame presenta caratteristiche d’un evoluzione lineare, ma molto controllata rispetto il seguente che invece schizza qualitativamente alle stelle sotto molteplici punti di vista, tecnici su tutti. L’aspetto compositivo è di ottima caratura, le melodie hanno un forte sapore di ricercatezza e di meticolosa spontaneità. L’anima del musicista si esprime ad altissimi livelli, ma forse è proprio qui che possiamo individuare l’anello debole della catena che lega l’intero sviluppo delle song. Sentire Pendragon significa capire immediatamente che dietro agli strumenti non ci stanno gli ultimi arrivati e fin qui non c’è il minimo dubbio, quello che invece sottilmente si percepisce è che il quartetto, capitanato dal leader Nick Barrett, spinge nella direzione voluta dal leader stesso ovvero ci si dà molto da fare per far emergere il suo singolo operato. Nessun strumentista osa al di là della mera eccellente esecuzione, il guitar man invece propone un’esecuzione che dipinge a tinte forti l’intero album, Clive Nolan alla tastiera ricrea delle atmosfere bellissime che se maggiormente approfondite avrebbero probabilmente portato il livello dell’opera dalla discreta valutazione al livello di Masterpiece. Peter Gee è davvero un maestro al basso per una prestazione senza eccessi, ma varia e pulsante sempre ben coordinata alla qualità tecnica del batterista Fudge Smith. Curatissima, la produzione permette alle canzoni di esprimere tutta la maestosità della potenza che fa girare a mille i motori delle tende del teatrale palco della vita aprendo conseguentemente all’ascoltatore una finestra sull’immenso sinfonico mondo fatto di infiniti suoni dilatati e armoniosi.
Lo spettacolo prende vita dalle mistiche atmosfere di “The Walls of Babylon” che trasformano il concetto di silenzio mascherando il vuoto con un magico riempimento di suoni cui viene ad aggiungersi l’intro chitarristica. Eccezion fatta per l’acidità della distorsione questo prologo è certamente uno degli episodi più belli dell’intero disco cui segue uno sviluppo di tutto rispetto soprattutto per quanto riguarda il lavoro alle sei corde. “Ghosts” apre le danze attraverso l’azione delle delicate mani di Nolan che scorrono romanticamente sui tasti; il songwriting è estremamente spontaneo e caldo, cospicue tastiere ed assoli convivono assieme in un alternanza di verve più o meno controllata, ma pronta a concretizzarsi da un momento all’altro in un’emozione di piacevole e romantica malinconia: una proposta davvero trascinante. Prog Rock melodico anche per la successiva “Breaking the Spell” che può essere considerata non molto diversamente dalla precedente con la sola, ma sostanziale eccezione di essere presente con marcati tratti ambient che la staccano leggermente dagli standard compositivi finora utilizzati; da ricordare su questa la presenza di una ricorrente parte solista caratterizzata da un pathos mozzafiato. Ed arriviamo ai quasi quindici minuti di “The Last Man on Earth” che forse a tratti possono risultare ripetitivi, ma che di certo non annoiano perché ben strutturati nel loro evolversi. L’esecuzione risulta accettabile a livello di continuità, ma strutturalmente la song è debole soprattutto nella parte iniziale sebbene il tentativo di mantenerne alta l’energia sia in parte riuscito grazie alla presenza di un’ottima proposta ritmica. Un cuore pulsante fa scorrere attraverso l’energia della dualità basso/batteria tutto il fluido melodico di Barrett e Nolan, ma la sensazione di base è che i riff fluiscano senza una vera e propria ispirazione che vada al di là della mera proposta già sentita precedentemente. Sperimentazione in più viene assaggiata in “Nostradamus (Stargazing)” che davvero regala un’intro meravigliosa, incontro estremo di note e cori soffusi, di atmosfere celestiali, di futuri e memorie correnti. Il cantato si attesta ad alti livelli per una canzone che accarezza davvero squisiti orizzonti Prog Rock grazie ad un incedere ritmico che nasce dal nulla su un accattivante riff ben distorto capace di creare una gradevolissima sensazione di agro dolce su una base raffinata e melodica di tastiere. L’album chiude con “Am I Really Losing You?”, una sorta di outro, ma davvero ben riuscita; immaginate una “musicale lettera” di addio, ben essenzializzata dai melodiosi e romanticissimi tocchi di pennello di Barrett che sistematicamente si ripetono come soffici passi di allontanamento nel riuscito intento di abbandonare l’ascoltatore; la song stessa saluta a nome dell’intero album, si gira e si racchiude nel mantello del palco di questa vita che per la durata del disco ha mostrato di se un lato magico e fantasticamente illusorio.
– nik76 –
Tracklist:
01- The Walls of Babylon (10’44”)
02- Ghosts (7’58”)
03- Breaking the Spell (9’12”)
04- The Last Man on Earth (14’40”)
05- Nostradamus (Stargazing) (6’19”)
06- Am I Really Losing You? (4’47”)