Recensione: The Wolf & The King

Di Alessandro Marrone - 9 Ottobre 2024 - 7:00
The Wolf & The King
Band: 1349
Etichetta: Season Of Mist
Genere: Black 
Anno: 2024
Nazione:
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67

Se state leggendo questa recensione è più che probabile che sappiate di chi stiamo parlando, per tutti gli altri basti sapere che i 1349 sono una consolidata realtà black metal nata nell’ormai lontano 1998 e giunta al suo ottavo sforzo discografico. A dar manforte a Ravn (voce) e Seidemann (basso) sono ben presto sopraggiunte le qualità artistiche di Archaon alla chitarra (l’unica in lineup) e Frost alla batteria, senza dubbio un nome che garantisce la bontà al prodotto finale e che ha consentito al peculiare drummer una maggiore libertà nonché prettamente estrema, nel preciso momento in cui la band primaria – i Satyricon – stavano virando verso lande più sperimentali del solito.

The Wolf & The King arriva a cinque anni di distanza dal precedente The Infernal Pathways, un album che era riuscito a convincere i più seppure non fosse portabandiera di alcun tipo di innovazione, aspetto che quando si parla di 1349 va preso e analizzato con doveroso giudizio. Sì, perché se da un lato ci si aspetta che un gruppo black metal resti il più possibile fedele ad un sound e un songwriting ben preciso, è anche vero che con il passare degli anni e anzi dei decenni, qualche cambiamento instillato in punti specifici possa rappresentare quella linfa vitale che sia in grado di tenere vivo l’interesse verso un nome di certo blasonato, ma che deve anch’esso lottare per la sopravvivenza.

Se infatti in sede live ci si trova di fronte ad un combo potente e schiacciasassi, forte di partiture prevalentemente veloci, è anche vero che in studio un lavoro come quest’ultima release può risultare un po’ stantio ed a tratti addirittura noioso. Il sound è molto pastoso e alle volte va quasi a fondere un’equalizzazione che pare imperfetta e che non mette in primo piano altro che un chitarrismo di fondo che sorregge le grida apocalittiche di Ravn, sugli scudi al pari del batterismo di un ottimamente ispirato Frost.

Si tende spesso a identificare l’opener come il preambolo per un lavoro che ne ricalchi le tratte più peculiari, oppure un brano puramente mirato ad accendere l’attenzione dell’ascoltatore. Se solo The God Devourer durasse la metà sarebbe quasi perfetta. E il resto del disco tende a ripetersi, almeno in parte, alternando blast veloci a quel costante alone di amalgama di chitarra e basso. Una tonalità cupa e fredda resa graffiante da Ravn, ma che alle volte scende a patti con una forma canzone che con il black metal viene spesso trascurata in favore di intenzioni più bellicose, qui presenti ma in maniera non perfettamente definita. Potremmo quasi definire i circa 38 minuti come caotici al punto giusto, ma l’impressione che reputo più corretta è quella che arriva dopo ripetuti ascolti in cui mi convinco sempre più che The Wolf & The King sia un lavoro scritto al risparmio. Risparmio ispirazionale, che sia chiaro, il che è un peccato dato che la discografia dei 1349 ha dato alla luce – o all’oscurità – album molto più che validi, basti per esempio ascoltare Hellfire, datato 2005, o l’esordio del 2003 Liberation.

Ash of Ages è forse la traccia migliore, ma viene quasi ripetuta dalle successive che però non trovano la stessa incisività e in meno che non si dica ti ritrovi alla fase conclusiva di un ascolto letteralmente graziato da soltanto qualche accennato sprazzo. The Wolf & The King non è un lavoro da gettare via, ma non rappresenta ciò con cui conoscere i 1349, qualora non siate familiari con Ravn & company. Fatelo vostro se affezionati alla band, ma badate bene dal metterlo al confronto con i più convincenti episodi del loro passato, perché in quel caso perderebbe qualche punticino extra.

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