Recensione: The World as We Love It

Di Simone Volponi - 7 Ottobre 2015 - 0:00
The World as We Love It
Band: Pushking
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2010
Nazione:
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70

I Pushking sono una band russa con vent’anni di rock sulle spalle, un segreto ben nascosto, poco conosciuti oltre i patri confini dove invece sono delle leggende. Tuttavia riescono a festeggiare la propria storia facendo le cose in grande con questo album collaborativo, riproponendo i migliori estratti del repertorio insieme a parte della crema nobile dell’hard rock-metal anni 70 e 80. “The World As We Love It” ci offre un’occasione pressocché unica: sentire insieme in un solo disco gente che la storia l’ha fatta sul serio. La copertina mette subito in chiaro tale punto di forza, sciorinando in primo piano senza tanti fronzoli o imbarazzi l’elenco di ospiti: Paul Stanley, Billy Gibbons, Alice Cooper, Steve Vai, Glenn Hughes, Steve Lukather sono solo i primi nomi… Da rimanerci secchi! Viene quindi naturale approcciarsi all’ascolto con un certo entusiasmo.

Dopo una breve intro, in pratica un acuto del leader Koha, dotato di una voce simile al Ian Gillan dei bei tempi, si parte con “Nightrider“, pimpante hard rock sorretto da un bel pianoforte boogie dove Koha duetta con Billy Gibbons, che si occupa anche delle parti chitarristiche trasportandoci ovviamente in pieno mood ZZ Top. La produzione orchestrata da Fabrizio Grossi è pulita, levigata, senza sbavature, adatta allo standard radiofonico americano, e ci fa gustare in pieno tutte le voci e gli strumenti senza lasciare nulla indietro.

I’ll Be Ok” è una ballad struggente (e ne troveremo tante nel disco), scelta come video e singolo, eseguita perfettamente dal barbuto Gibbons e graziata dalla sei corde di Nuno Bettencourt (Extreme) il cui tocco virtuoso ed istrionico si sposa bene con l’atmosfera dolce creata dai Pushking. La successiva “Troubled Love” rialza subito il tiro con l’entrata in scena dell’immortale Alice Cooper in un bel pezzo rock d’altri tempi, donando al tutto un fascino vizioso e beffardo come solo lui sa fare, e ci si diverte!

Strangers Song” invece non convince. Vero, il microfono passa a John Lawton (ex Uriah Heep) la cui voce non ha perso un grammo di eleganza e pathos, ma il pezzo è scialbo, la linea melodica inconcludente, e non funziona. Apprezzabile comunque il lavoro svolto da Steve Stevens alla chitarra. Si torna in alto con un altro pezzone, “Cut The Wire“, perché c’è Paul Stanley, e sì, magari non arriverà più ai vertici vocali del passato, ma la classe non si perde per strada e lo Starchild lo dimostra in un pezzo che farebbe la sua figura nelle ultime produzioni targate Kiss, da Revenge per intenderci.

Koha si ritaglia un momento tutto suo con “My Reflections After Seein The Schindler’d List Movie” ispirata all’omonimo film: toccante, triste, forse un pelino troppo sulle righe nell’infilare gli acuti di Gilliana memoria anche in contesto più raccolto. La guest star qui è Steve Vai, che non si limita al compitino, ma accompagna la narrazione con la giusta intensità. Dopo il gospel rock “God Made Us Free” con lo scalmanato Graham Bonnet al microfono, tocca alla Voce del rock Glenn Hughes assurgere al ruolo di protagonista. Per la sua ugola benedetta i Pushking hanno riservato ben tre pezzi: prima la soffusa e soul “Why Don’t You?“, poi (dopo un salto nell’AOR con “I Believe” insieme a Jeff Scott Soto) la ballad “Tonight” con Joe Bonamassa alla chitarra, infine la più robusta (con calma) “Private Own“. Inutile dire come in tutti e tre i casi Hughes sia perfetto, arrivando a toccare il cielo, là dove nessun’altro può…

Open Letter To God” è un altro episodio emozionante, Koha in duetto con Eric Martin (Mr. Big) ci strappa qualche lacrima e fa fare strage di fazzoletti a chiunque abbia un briciolo di cuore… Fazzoletti pronti a volare nel cestino durante “Nature’s Child“, divertentissimo hard rock da bikers con tettona al seguito, e non poteva esserci altri che Udo a “cantarla” col suo timbro sgraziato e animalesco.

Ci avviciniamo al termine di questo sostanzioso “The World As We Love It” con un’altra ballad (ce ne sono tante, lo ribadiamo. Forse troppe?) affidata a Dan McCafferty dei seminali Nazareth che intona insistentemente “I Love You“, un po’ banale, ma ti rimane in testa, ripetendosi poi con la scialba “My Simple Song” che invece si fa dimenticare subito. Nel mezzo c’è il tempo per gli ultimi scorci di robusto hard rock vecchia scuola grazie a Joe Lynn Turner, sontuoso su “Head Shooter“, e l’ottima “Heroin” che rifà il verso ai Whitesnake del periodo 1987, pane per i denti del poderoso Jorn Lande, semplicemente uno dei migliori singer del pianeta.

Infine, avete mai immaginato di sentire sullo stesso pezzo Paul Stanley e Glenn Hughes, magari attorniati da Eric Martin, Joe Lynn Turner, Graham Bonnet e dalla chitarra di Steve Lukather? bene, ci pensa la conclusiva “Kukkaracha” ad accontentarvi/ci: semplice, zuccherosa, anche un po’ sciocca se vogliamo, ma al diavolo, ci si deve pur divertire ogni tanto no?

Bene, questo è quanto. Per chi scrive, “The World As We Love It” è un gran bel disco, merita di essere comprato, ascoltato a ripetizione, messo con cura nella propria collezione di cd, e le tante ballad lo rendono anche ideale colonna sonora di una serata romantica… Magari lasciando le due tracce con Alice Cooper e Udo all’ultimo, per il finale.

Ci siamo capiti…

 

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