Recensione: The World Is Broken

Di Daniele D'Adamo - 19 Febbraio 2017 - 17:06
The World Is Broken
Band: KforKill
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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80

Subito l’anomalia: i KforKill sono senza un contratto discografico. Inusuale, o forse no. Anzi, no: è un classico. Che, cioè, ci siano band a malapena capaci di tenere in mano gli strumenti legate a label più o meno importanti, e band assai in gamba che vagano alla ricerca di qualche etichetta che li consideri.

Non che i Nostri ne abbiamo così bisogno, perlomeno per ciò che concerne la realizzazione del proprio suono. Molto, molto migliore di quello che tantissime formazioni maggiori siano in grado di metter su disco, anche supportate da tecnici professionali e budged cospicui.

“The World Is Broken” è un debut-album, ma dal sound talmente definito e adulto da fare quasi impressione. Una gigantesca muraglia di suono che si abbatte come un tornado sui malcapitati, per modo di dire, ascoltatori che ne dovessero venire in possesso.

Death metal possente, massiccio, granitico. Parecchio vicino al deathcore. Così vicino, anzi, da poterlo considerare tale. Per via del suo taglio metallico, preciso, netto. Ricco di rimbombanti breakdown, di toni ribassati, resi cupi dal sordo bombardamento a tappeto messo in atto dalla poderosa sezione ritmica che, come un esercito in furioso avanzamento, rade al suolo anche i fili d’erba, a mò di Attila.

Far sputare agli speaker ad alto volume le song di “The World Is Broken” è quasi un piacere carnale, che soddisfa la voglia di essere strapazzati e presi a schiaffoni da uno stile mostruosamente energico, titanico, allo stesso tempo lindo e pulito. I KforKill hanno le idee chiare immediatamente, e si sente. Le canzoni sono quadrate, compatte, prive di sbavature. Tutte allineate sul medesimo (alto) standard qualitativo. Senza che ci siano cali di tensione, buchi nell’erculea forza scardinatrice di brani incendiari come per esempio ‘In Paradise’ (sic!) o ‘I’m Death’. Ceffoni a mani aperte in piena faccia. Ma anche virtuosi esercizi di scrittura, come la disarticolata ‘Die On Your Knees’, lampante dimostrazione che il quintetto di Copenhagen è già assestato sui migliori livelli esecutivi in campo deathcore. Un campo che esige già di per sé la massima precisione chirurgica nello spezzettare il tempo in segmenti acuminati, dal taglio a mille sfaccettature come quello di un un diamante.

Raramente c’è il ricorso ai blast-beats, per trapassare la resistenza delle membrane timpaniche. La spiegazione è semplice: non ce n’è bisogno. ‘Halo of Paleness’, pezzo nel quale fa capolino anche un po’ di melodia, sembra esser lì apposta. Senza scomporre di un pico-secondo l’up-tempo che gira instancabile nel motore, i KforKill spaccano letteralmente la schiena. La sfiancano, prima, come fanno alcune nobili fiere.

Tant’è che anche per gli appassionati più adusi a farsi prendere per il colletto e scrollare come un panno, riuscire a trangugiare “The World Is Broken” in una botta solo, senza pause, è impresa quasi da eroi. Evidentemente ai KforKill nessuno ha suggerito di inserire qualche momento meno veemente, nel disco, ed essi han fatto di testa propria, allineando undici song terremotanti, una più distruttiva dell’altra.

Sino ad arrivare alla micidiale doppietta finale. Esattamente come negli spettacoli pirotecnici, ‘Alpha: I’ e ‘Alpha: II’, dopo il breve nonché lieve incipit della prima, sono il Gran Finale a suggello di un platter la cui intensità trova pochi riscontri, oggigiorno. Altri due sberloni mossi alla velocità dei blast-beats (stavolta sì) da far ruotare la testa ad angolo ottuso.

Band eccellente, album eccellente: si muova chi di dovere!

Daniele “dani66” D’Adamo

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