Recensione: The World’s Best Hope
Stavolta è sceso in campo addirittura il presidente della Frontiers Music Srl, per mettere assieme un super-gruppo di AOR. Grazie a Serafino Perugino, infatti, hanno unito le forze Campioni del calibro di Terry Brock (voce – Giant, Strangeways), Robert Berry (basso e voce – Three, Alliance), Gary Pihl (chitarra – Boston, Sammy Hagar, Alliance) e Matt Starr (batteria – Ace Frehley, Mr Big). Nomi altisonanti che, però, da soli, non basterebbero a tenere su una band, se non alimentati dal sacro fuoco della passione.
Non a caso, la Storia è piena zeppa di ensemble dorati messi su assieme raccogliendo i migliori nomi sulla piazza, salvo naufragare clamorosamente alla prima nota suonata. Gli All 41, invece, sono un formazione vera.
Una formazione che, con il debut-album “The World’s Best Hope”, mostra una capacità enorme di saper proporre un AOR stilisticamente perfetto. Una perfezione che ha alle spalle sì una grande tecnica, sì un esteso retroterra culturale ma, soprattutto, un amore sterminato per il rock. Definizione, questa, che si adatta all’ensemble statunitense nella sua accezione più… enciclopedica, purtuttavia con quelle caratteristiche che lo instradano verso l’Adult Oriented Rock, appunto. Rock caldo, a volte anche duro, molto melodico, privo di fronzoli, nel contempo cristallino e brillante di scoppiettanti armonie.
Nella comune visione, l’AOR è la musica d’eccellenza per accompagnare i lunghi viaggi lungo le autostrade americane. Nel caso degli All 41, però, sarebbe diminutivo, possedere un approccio del genere. Le song di “The World’s Best Hope”, difatti, mostrano una notevole accuratezza compositiva, segno inequivocabile che Brock & Co. non si accontentano di ammorbidire gli invisibili spigoli dell’etere ma, anzi, cercano con determinazione di lasciarvi un segno, una traccia. Un’emozione, un sentimento.
Se ci siano riusciti lo vedranno i posteri, quel che si può affermare è invece che “The World’s Best Hope” sia un eccellente lavoro. Sotto tutti i punti di vista. La professionalità è estrema: ascoltando le varie canzoni si può notare la semplicità con la quale emergono tutti gli strumenti, ciascuno al posto suo ma legato indissolubilmente agli altri. Sintomo di produzione di elevato spessore, ma anche di grande mestiere e solidità esecutiva.
Naturalmente non c’è solo la perizia tecnica. Al contrario, a rendere vincente il disco ci sono i brani. Tutti di livello qualitativo massimo, difficile scrivere musica migliore. Molto puliti, lineari, snelli, pieni zeppi di sentimento come la stupenda, commovente ‘Mother Don’t Cry’, per esempio. Marchiano il cuore anche l’opener-track ‘After the Rain’, che, con il suo ritmo morbido e dolce, ma robusto, lascia intendere che la speranza per un futuro migliore non debba mai morire. Dopo la sofferenza, c’è la gioia. Gioia che si percepisce a pelle in altri episodi gran rilievo come ‘Never Back Down Again’.
Sebbene i ritornelli, come da copione, siano tutti orecchiabili, la bravura degli All 41, almeno a parere di chi scrive, è che sia tutta la struttura della song a essere baciata dal talento: strofa, ponte e, non potevano mancare, i soli di chitarra. Con l’acme coincidente con la closing-track, vero capolavoro AOR: ‘The World’s Best Hope’, e gli All 41 sono al top!
Che fare, oltre? Semplice, far proprio “The World’s Best Hope” e… volare!
Daniele “dani66” D’Adamo