Recensione: The Wretched and the Vile

Di Alessandro Rinaldi - 21 Febbraio 2024 - 0:45

I Rituals of the Dead Hand sono un terzetto belga di Limburg  formatosi nel 2016, con alle spalle già due album, Blood Oath e With Hoof and Horn; dopo due anni di assenza si riaffacciano sul mercato con questo The Wretched and the Vile. La line-up è composta da Lykaios (Filip Dupont), Isangrim (Frederik “Cozy” Cosemans) e Beleth (Ief Peeters), tutti artisti impegnati in altri progetti.

L’artwork riassume in modo ineccepibile quello che andremo ad ascoltare: una funerea quanto decomposta figura androgina che si erge all’interno di un cerchio, costellato da una moltitudine di simboli esoterici. E diabolici. Già, perché il nome della band, richiama indirettamente la cosiddetta “via della mano destra”, tanto cara al buon vecchio Lucifero. Il disco si compone di sei brani per un totale di quaranta minuti di ascolto, che scivolano via piuttosto in fretta, in quanto la proposta musicale è salda e omogenea: basicamente, si tratta di un black metal a tratti anche piuttosto ruvido, contaminato da doom e death metal, che danno uno suono decisamente più “orecchiabile” al prodotto dei Rituals of the Dead Hand, così come il riffing, che è particolarmente azzeccato – Ius Cruentationis e Mayhem and the Goat  e Stigma Diabolicum.

The Wretched and the Vile non fa parte dei must have di un blackster, tuttavia, merita un ascolto; mentre, chi ama i simbolismi e la ricerca degli stessi nella musica, troverà indubbiamente piacere e spunti interessanti dalla loro opera.

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