Recensione: The Xun Protectorate

Di Daniele D'Adamo - 9 Dicembre 2016 - 0:00
The Xun Protectorate
Band: Khonsu
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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Khonsu, dio egizio della luna, colui che viaggia attraverso il cielo della notte.

Khonsu, duo norvegese formato dai misteriosi S. Gronbech (tutti gli strumenti, clean vocals) e da T’ol (voce), perennemente incappucciati o mascherati sì da nascondere le loro fattezze (umane?).

Un dualismo che si riflette completamente nella musica e nei testi del misterioso duo, fautore, per l’appunto, di un black metal assolutamente unico nel suo genere. Straordinariamente visionario, allucinato, spostato in avanti rispetto al presente. Sia nello spazio, sia nel tempo. Black metal in grado di traslare l’esistenza in altre dimensioni, probabilmente identificabili in multi-versi, ove i mondi sono immensi e incommensurabili agglomerati di macchine, concentrazioni di gigantesche costruzioni metalliche. Gelidi, grigi, asettici, desolanti distese di non-umanità. Ricchi solo di fervore cibernetico, popolati da esseri senzienti la cui struttura molecolare non è basata sul carbonio, come quella delle forme di vita terrestri.

Già con il debut-album, “Anomalia”, uscito nel 2012, i Khonsu avevano fornito prova di essere avanti, rispetto all’ordinario in cui si dibattono miriadi di band dedite al metal estremo. Con il neonato “The Xun Protectorate”, se possibile, essi si spingono ancora più in là, oltre l’universo conosciuto, oltre i pianeti, le stelle, le galassie. Motore di tutto è uno stile non-convenzionale, del tutto particolare, se si vuole parente abbastanza prossimo del cyber death metal ma aggrappato inesorabilmente agli stilemi arcaici del black metal. Da cui, in certe occasioni, nascono le idee per brani catastrofici, iper-accelerati, da trance totale, da lisergico viaggio nel subconscio della materia.

Essa, pulsante e viva.

Come quella che rotea vertiginosamente nella spaventosa ‘Visions of Nehaya’, song da completo annichilimento delle membrane timpaniche, dei nervi acustici, del cervello, della mente. La furia devastatrice che si libera dalle mani di S. Gronbech raggiunge, anzi oltrepassa i limiti delle frequenze ammissibili per il pensiero umano. Come nella drammatica, coinvolgente, emozionante ‘A Jhator Ascension’, mirabolante viaggio stellare fra i rari atomi che vagano caoticamente nel vuoto cosmico. Bombardati dalle super-eccitate particelle sub-atomiche accelerate sino alla quasi-velocità della luce da mostruosi attacchi sonori quali ‘Liberator’, vera e propria tempesta di quark.

Tassativamente e parimenti psicotrope i singoli episodi meno cinetici, nei quali, addirittura, spuntano le arcane clean vocals dello stesso S. Gronbech, bravo a inventare una foggia vocale tutta sua. L’incredibile, stralunata ‘Death of the Timekeeper’, grazie a ciò, assume i caratteri di un’impensabile hit (sic!). L’alternanza fra il roco screaming di T’ol e le linee pulite di S. Gronbech – cioè fra scabro e liscio – non sono certamente una novità, ma in “The Xun Protectorate” assumono valenza, quasi, d’irrisolvibile antitesi umano/non-umano. Stupendi, per ariosità, i mid-tempo, ove la classe compositiva dell’eccezionale coppia di Trondheim può liberare a profusione melodie e atmosfere trasognati, fantascientifiche, oniriche (‘The Tragedy of the Awakened One’).

Ecco, il sogno.

“The Xun Protectorate” è uno sbalorditivo concatenamento di sogni nei sogni. Sognare pianeti sperduti chissà dove, nella pletora degli universi possibili e impossibili, sognando di atterrare su qualcuno di essi in veste di protagonisti d’epici confronti, non necessariamente battaglie, con gli organismi base-silicio che li popolano. ‘A Dream of Earth’, con l’eterea female vocals a integrare – semmai ce ne fosse stata una possibilità, anch’essa centrata – l’aere di proiezioni mentali da fiaba tech.

Del resto, l’inesauribile talento compositivo dei Khonsu consente loro di affrontare con la stessa classe ogni tipo di canzone, comprese le suite. ‘Toward the Devouring Light’. Sinuosa, tentacolare, attenta esplorazione dei più disparati ambienti alieni; esplorazione scandita, nei tempi, dalla complessa varietà ritmica che segna il brano con un modus operandi percepibile solo e soltanto da chi riesce a tuffarsi, lasciandosi completamente andare, in “The Xun Protectorate”.

Gesto sublime e ardimentoso, quest’ultimo, poiché l’esperienza di vita di quelli che compiranno tale mossa non sarà più la stessa.

Khonsu, “The Xun Protectorate”, S. Gronbech, T’ol: le quattro forze unificatrici dell’universo conosciuto.

Daniele D’Adamo

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