Recensione: There’s Something Very Strange In Her Little Room

Di Tiziano Marasco - 26 Agosto 2013 - 5:37
There’s Something Very Strange In Her Little Room
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Anno: 2013
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60

La mente vulcanica di Cristiano Roversi, figura attiva nel prog italiano da ben vent’anni, torna a farsi produttiva con quello che, già a prima vista sembra essere un super gruppo, ovvero i Submarine silence. Ben sei elementi sono coinvolti in questo progetto, nomi che fanno parte di gruppi ben noti a chi bazzica il prog nostrano, vale a dire gli Storici Moongarden, (vale a dire il chitarrista David Cremoni e lo stesso Roversi, che come in questa sede si occupa di tastiere) a cui vanno aggiungersi il bassista Matteo  Bertolini e il cantante Mirko Ravenoldi, provenienti dai Catafalchi del Cyber, altra band in cui Roversi è comunque coinvolto. Chiudono la line up l’altro cantante Ricky Tonco (ex Moongarden), e il batterista Gigi Cavalli Cocchi (Mangala Vallis).

Tale notevole spiegamento di forze porta ad un disco dal titolo chilometrico, There’s something very strange in her little room, che segue a distanza di ben tredici anni l’omonimo debutto e si presenta, al solito, come fortemente influenzato dai Genesis e dai Marillion, ma anche, viene da dire, dai Queensrÿche. È indiscutibile infatti che un album aperto da due brevi passaggi strumentali faccia correre il pensiero – sempre e comunque – ad Operation: mindcrime, però la band di Geoff Tate fa spesso capolino tra le pieghe delle canzoni più tirate, che popolano la prima metà del disco (About Rebecca, The Game), così come nella conclusiva, maestosa Lion of simmetry, in assoluto il miglior pezzo del lotto. Oltre a ciò, si segnala la buona Child at play, praticamente un omaggio alle Orme di La via della seta.

Ciò detto però, nonostante le buone sensazioni emerse nei vari ascolti, c’è da dire che questo disco non decolla mai veramente. Le composizioni impeccabili risultano fredde e non graffiano, il disco trascolora e sbiadisce dall’inizio alla fine sempre nello stesso modo. Un fatto probabilmente dovuto allo sproposito di interludi, perché fare i concept va bene, ma infilarci nove intervalli strumentali su diciassette canzoni totali risulta eccessivo. A ciò si aggiunge il fatto che l’album, che nella prima metà risulta anche piuttosto coinvolgente, dopo Sleepfall (nome azzeccato come pochi) va letteralmente in coma, pervaso com’è da tastiere oscure e psychedeliche, certamente sognanti ed affascinanti, ma non se ripetute per un quarto d’ora. Su Back in her room, per fare un esempio, riesce ancora una volta difficile capire se il Tomas Bodin dei Flower Kings abbia fatto scuola o fatto danni.

Forse l’effetto sarebbe stato migliore realizzeando un doppio, con un primo disco elettrico con le canzoni vere e proprie ed un secondo estatico ed ai margini dello strumentale anche perché, si ripete,  non vi è una sola sbavatura in questo There’s something very strange in her little room. Tutavia si ha l’idea che il songwrigting, più che approssimativo, sia troppo asettico, freddo, distante. E visto le forze messe in campo per la realizzazione di questo disco, pur non restando insoddisfatti, sarebbe stato lecito aspettarsi di più in termini di calore umano, e permane la sensazione che il risultato finale avrebbe potuto essere migliore. Corsi e ricorsi del prog.

Tiziano “Vlkodlak” Marasco

Pagina ufficiale di Cristiano Roversi

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