Recensione: They Will Return
I Kalmah sono una band finlandese probabilmente eruttata insieme alla gran quantità di band sfuggite al controllo grazie al successo dei Children of Bodom, che hanno trovato nella scena scandinava evidentemente un terreno estremamente fertile. La stessa band ci fa sapere di essere nata ben 9 anni fa, nel 1993, dalle mani di Pekka Kokko e Petri Sankala. Fino al 1998 la coppia lavorò a diversi demo firmandosi con il nome di Ancestor, finché non completarono la loro formazione con Antti Kokko alle chitarre e Antti-Matti Talala alle tastiere. Insieme pubblicarono 5 demo, fino all’ultimo, Under the Burbot’s Nest. Nel 1999 la band cambiò nome in Kalmah, abbandonando il classico stile brutal-death che tanto attira le band in erba e trasformandolo in un death melodico dalle premesse abbastanza convincenti. Nel settembre del 2000 la band, con la formazione completa di Pekka Kokko (chitarre e voci), Antti Kokko (chitarra), Petri Sankala (batteria), Aitti Vetelainen (basso) e Pasi Hiltula (tastiere), questi ultimi presi dagli Eternal Tears of Sorrow, pubblica il primo full-lenght di nome Swamplord. Il CD riscosse un buon successo, e nacque la loro homepage nella quale sono contenute molte informazioni di vario genere. Guardando profondamente questo album non si può non rimanere piacevolmente sorpresi. Il death è di buono stampo, con un gran lavoro di batterie e dei rapidissimi scambi di tastiere-chitarre abbastanza bodomish. L’album, dall’artwork paludoso (devono avere una mania per le paludi) consta di nove tracce, di cui una è una cover ben realizzata ma non particolarmente brillante di Skin O’ My Teeth dei Megadeth. A livello di “ispirazioni” sinceramente non c’è molto da dire. Passando ai raggi X l’album non si nota una vena particolare, un qualche tipo di riferimento a mitologia o a qualche altro stile. Le canzoni sono abbastanza poetiche, ma spaziano di genere in genere e sono abbastanza fini a se stesse. Questo di certo non li aiuta a inquadrarsi, ma se questo può remare contro di loro lo stesso non si può dire della tecnica che sono riusciti a raffinare. Come già detto, il livello tecnico è abbastanza elevato, e lo stesso Pasi Hiltula è uno studente molto dotato del Conservatorio di Oulu, nella Finlandia settentrionale, e si nota, anche se la produzione non rende molta giustizia al sound abbastanza profondo della band. Peccato che, come detto prima, siano godibili ma non spiccano molto. È death melodico ben fatto, ma per ora affonda sotto i colpi di band più esplosive compatriote come i Finntroll, i Norther o gli stessi Children of Bodom, in grado sicuramente di mostrare molta più personalità e sbatterla sullo stage, per sbranarla pezzo dopo pezzo. Di band ascoltabili, in grado di formulare un buono screaming, un buon growling e delle buone strutture musicali ce ne sono, basta solo trovare un po’ di personalità e giocarci, è così che nasce il pubblico e cresce. Speriamo nel terzo lavoro, intanto questo incontrerà certamente i favori dei fanatici del Death melodico nemmeno troppo spinto né veloce, ma tecnico.
Tracklist:
1 – Hollow Heart
2 – Swamphell
3 – Principle Hero
4 – Human Fates
5 – They Will Return
6 – Kill the Idealist
7 – The Blind Leader
8 – My Nation
9 – Skin O’ My Teeth