Recensione: Third Degree
Dopo cinque anni dall’ultima uscita in studio, tornano i Flying Colors con il loro terzo album, che sfoggia l’artwork più bello (e in stile Rush) della loro breve discografia. Il platter è il più lungo composto dal quintetto americano (supera di alcuni secondi il precedente) e si compone di nove tracce, due delle quali raggiungono i dieci minuti di durata. Sappiamo già quale musica ci attende, non per questo, tuttavia, non ci aspettiamo qualche lieta sorpresa.
Tutto ha inizio con “The Loss Inside”, introdotta da un tempo dispari grintoso e tanto di hammond. L’intesa dei componenti della band è confermata e si ripropone su ottimi livelli. La produzione merita una nota di merito, tutti gli strumenti sono riconoscibili al primo ascolto e a trarne maggior giovamento è la parte ritmica, con Portnoy ancora pronto a regalare alcune finezze e un magnifico Dave LaRue (ormai uscito dalla band di supporto a Tarja). Terminato l’ascolto dell’opener possiamo dire che il sound dei FC è quello cui ci hanno abituato, musica genuina, fresca e costantemente in bilico tra purismo progressive e sconfinamenti pop. “More” convince meno, il refrain non spicca e si salva giusto la sezione centrale con influssi simil King Crimson e un buon tasso tecnico. Da dimenticare il video di questo pezzo, meglio quello di “Love Letter”. “Cadence” è una ballad a tratti cullante e mesta, in pieno stile FC (del resto il moniker rimanda a un senso di effimero nostalgico) che permette a Steve Morse di cesellare un assolo come sempre di estrema pulizia. “Guardian” ha il miglior intro in tracklist, Portnoy e LaRue sono una coppia d’oro (chi li ricorda nel tour del G3 con Petrucci nel 2005?) e giusta controparte di quella dei Sons of Apollo (con l’ex-Dream Theater a fianco di Billy Sheehan). Gli amanti del basso elettrico non devono perdersi la sezione che inizia al quinto minuto della traccia…
E arriviamo alla parte centrale di Third Degree con la prima mini-suite, “Last Train Home”. L’avvio non è niente di particolare, Casey McPherson insiste a proporre il suo inconfondibile timbro vocale, Neal Morse pensa bene di suonare qualche nota di pianoforte, poi inizia un timido crescendo che si evolve in una buona parte strumentale con tanto di climax in doppia cassa. Al sesto minuto è bello sentire la voce di Neal Morse, andava maggiormente utilizzata nel corso dell’album (magari con un’oculata alternanza assieme al main vocalist, il quale sfoggia anche un buon falsetto alla fine della canzone). Insomma un pezzo con alti e bassi, non paragonabile a “Mystery Train” dei Transatlantic, che viaggia su altri binari qualitativi. A regalare un sorriso è il basso in slap in “Geronimo”, brano sbarazzino e dal buon potenziale radiofonico. Per gli ultimi venti minuti del platter, i FC hanno pensato di comporre un’altra ballad, “You Are Not Alone”, sicuramente ben arrangiata e con un certo potenziale emotivo, ma tutto risulta troppo prevedibile, sarebbe stato meglio ridurre il pezzo di un paio di minuti. Non tutto è perduto: l’ultima coppia di brani non è da sottovalutare. “Love Letter” col suo fare naif è una piacevole sorpresa, incluso il relativo video beatlesiano. I FC possono concedersi simili licenze e infilare un «Aumma Aumma» nel refrain nella song più breve e catchy in tracklist. Dopo un fade out siamo pronti per il gran finale. “Crawl” muta pelle più volte durante il suo sviluppo: dopo i primi minuti vellutati, c’imbattiamo in una sezione più tirata (e finalmente le chitarre elettriche tornano alla ribalta, insieme al doppio pedale), una sezione a tratti psichedelica, infine un epilogo splendente con un ispirato Steve Morse e Portnoy che non molla un colpo.
In definitiva Third Degree convince meno del precedente Second Nature, i FC restano una band con una raison d’être (seppur sempre più evanescente), ma per poter continuare a evolversi in futuro dovranno inventare soluzioni compositive più innovative e non ripetere la formula rodata che li ha condotti fin qui. I bravi musicisti fanno questo di regola, tutti gli altri cercano solo di sopravvivere a se stessi… Speriamo che il progetto di Portnoy e dei due Morse non si spenga come un fuoco fatuo, ma possa rilanciarsi con la giusta ispirazione negli anni a venire, sarebbe un peccato vedere il loro talento sprecato.
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)