Recensione: This Is Where It Ends

Di Daniele D'Adamo - 31 Agosto 2011 - 0:00
This Is Where It Ends
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Anno: 2011
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80

Semmai ce ne fosse stato ancora bisogno, gli All Shall Perish dimostrano ulteriormente che il deathcore non è una moda effimera, ma un genere metal definitivamente consolidatosi nel corso dell’ultimo decennio. Certo, dal 2002, anno di formazione dei Nostri (che, prima di “The Price Of Existence”, 2006, praticavano di più il grind tipo Icon, Beneath The Massacre e Leng Tch’e), sono esplose altre realtà come gli Heaven Shall Burn, gli As I Lay Dying e i Nearea; tuttavia la classe non è acqua e, infatti, il combo americano – con l’ultimogenito “This Is Where It Ends” – mette i puntini sulle i comprovando che non è secondo a nessuno.

Oltre alla consolidata esperienza, bisogna anche ammettere che non sono poi molti a vantare una siffatta abilità tecnica: Hernan Eddie Hermida e compagni, infatti, con i loro strumenti fanno quello che vogliono, miscelando il loro stile con le frange più elaborate del death, e cioè il technical e il brutal. Evitando, però, di cadere in sterili dimostrazioni di abilità manuale; trappola congenita delle tipologie musicali anzidette. Paradossalmente è sin troppo facile imbottire i righi musicali di note senza capo né coda. Più difficile, invece, costruire un’opera d’arte formata da un insieme organico di canzoni interessanti e capaci di attirare l’attenzione per la loro armoniosità, ancorché imbastite con dovizia di particolari e grande meticolosità. Questo gli All Shall Perish l’hanno compreso e, soprattutto, messo in pratica con “This Is Where It Ends”. Difatti, spesso e volentieri, ma non sempre, il technical death metal e i suoi parenti prossimi – in questo caso il deathcore – soffrono di freddezza emotiva. Come se il sentimento fosse messo in secondo piano rispetto alla ricerca della tortuosità musicale. Il quintetto di Oakland, nonostante l’alto tasso di scolarizzazione, risolve questo difetto inspessendo la propria proposta con un umore profondamente tetro e nichilista; aiutandosi per ciò con i temi dei testi, rivolti a sensazioni quali lo sconforto e la consapevolezza della morte. 

Accanto alla duttile voce di Hermida, in grado di spaziare dallo screaming all’inhale – molto efficace in occasioni dei terremotanti, iperbarici breakdown – , ciò che salta maggiormente all’attenzione è lo sterminato lavoro delle chitarre, autrici di un caleidoscopico rifferama. Orum e Artusato si dannano davvero l’anima alla ricerca delle più arzigogolate scale musicali, riuscendo a erigere un muro di suono impressionante per durezza ed estensione, senza per questo scivolare nel vacuo iper-tecnicismo. Alla parete innalzata dal guitarwork, si abbarbicano le linee del basso di Tiner, melodiche e calde, e il drumming di Pierce, fulmineo e complicato. Il tutto, per un amalgama sonoro di grande finezza, ma anche di elevata resilienza. 

A freddo, senza alcun preambolo, “Divine Illusion” piomba sulle teste di chi ascolta come un falco predatore. Un brano spiccatamente specialistico, forse il meno riuscito del lotto. In “There Is Nothing Left”, invece, si percepisce appieno l’ispirazione dell’ensemble californiano: violenza e melodia per un cocktail gustoso e accattivante. Ancora melodia, non certo stucchevole, nella successiva “Procession Of Ashes”; mentre con “Spineless” gli accidenti musicali si accavallano con grazia e linearità. “The Past Will Haunt Us Both” si rivela probabilmente il miglior pezzo del lotto, fresco e dall’irresistibile chorus di chitarra. L’incedere meccanico di “My Retaliation” rimanda, un po’, al cyber death dei Fear Factory; quasi prefigurando, per contrasto, l’aurea di drammatica umanità che pervade la stupenda “Rebirth”. Dopo il massacro sonoro di “The Death Plague”, la suite finale “In This Life Of Pain” propone nuovamente la sensazione di una struggente malinconia. 

Dopo “Awaken The Dreamers” del 2008, gli All Shall Perish affermano la loro compattezza e capacità artistica con “This Is Where It Ends”. Un’opera semplice e complessa allo stesso tempo, diretta ma longeva. Unico difetto di una certa rilevanza: la non facile riconoscibilità del sound. 

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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Track-list:
1. Divine Illusion 3:22
2. There Is Nothing Left 3:22 
3. Procession Of Ashes 4:37
4. A Pure Evil 5:12
5. Embrace The Curse 2:57
6. Spineless 3:57
7. The Past Will Haunt Us Both 6:05
8. Royalty Into Exile 4:24 
9. My Retaliation 3:23
10. Rebirth 5:29
11. The Death Plague 3:03
12. In This Life Of Pain 7:33 

All tracks 53 min. 

Line-up:
Hernan Eddie Hermida – Vocals
Ben Orum – Guitars
Francesco Artusato – Guitars
Mike Tiner – Bass
Adam Pierce – Drums

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