Recensione: This Strange World
Anche per Paul Hodson è arrivato il momento di esternare la maturità compositiva raggiunta alla corte di Bob Catley e dei Ten con un progetto solista. Il tastierista inglese si cimenta in questa prova anche dietro il microfono, e per farlo si avvale della collaborazione di Vince O’Regan, già turnista di Bob Catley e Pulse, con cui Paul ha già rodato sufficientemente l’intesa live.
Ovviamente sugli scudi si trovano le melodie tessute da Hodson con voce e tasti d’avorio, anche se le chitarre di O’Regan giocano un ruolo importante sia in fase d’arrangiamento che di sostenimento della struttura portante dei brani. Mentre non c’erano dubbi sulla qualità e la classe di Paul Hodson tastierista, con molta curiosità attendevamo la sua performance canora: sicuramente le aspettative non sono state deluse, visto che il timbro caldo e aggressivo di Paul è accompagnato da una tecnica invidiabile, nonché da un’interpretazione degna dei grandissimi, passionale e brillante, senza sbavature né cali di forma.
Compositivamente non potevamo certo imbatterci in un rivoluzionario, ma anche da questo punto di vista dobbiamo sottolineare l’altissimo livello dell’hard rock melodico di questo “This Strange World”. Impegnato dal punto di vista lirico più sullo stile del Catley solista – i temi trattati sono in larga parte a riflessioni
sulla guerra moderna – Hodson deve molto ai Ten per gli arrangiamenti, prova inconfutabile la bellissima “Soulman”, che sembrerebbe l’immancabile up-tempo di ogni album dei Ten in quanto tale. Ad ogni modo anche i Magnum recitano la loro parte nello spettacolo delle influenze del nostro – e come potrebbe essere altrimenti – e vengono alla mente in maniera inconfondibile sui brani più d’atmosfera e impegnati come “English Rose” o la conclusiva, arrembante “The Swan”. Il batti e ribatti tra Ten e Magnum, vere e proprie divinità dell’hard melodico inglese, giunge a un punto d’incontro su “Jelunda”, in cui la voce di Paul rivive delle influenze di entrambi Gary Hughes e Bob Catley, derivando dal primo la melodicità e gran parte dello stile, dal secondo la carica interpretativa e l’aggressività. Aggressività che lo avvicina abbastanza anche a Ronnie James Dio, soprattutto quando si cimenta nell’interpretazione di una song mastodontica come “Light In The Black”, tratta direttamente da quel capolavoro – tra i dieci di sempre per chi scrive – che è Rising.
L’influenza di Hughes ammorbidisce il tiro persino su una song quasi neoclassica come “Shaman Eyes”, sorprendentemente Malmsteen – Soto era – ma perfettamente incastonata nel mood globale del disco.
Non rimane molto altro da dire, se non citare la strappaconsensi “This Foolish World, debitamente collocata come opener, e citare i virtuosismi al basso del session di turno, Josie Vespa.
A questo punto la “sfida” è lanciata, vediamo come risponderanno i Magnum e i Ten, il cui nuovo album sta uscendo proprio in questi giorni…
Tracklist:
- This Foolish World
- Jelunda
- The Calling
- My Saviour
- English Rose
- Shamen Eyes
- Soulman
- Light In The Black
- The Swan
P.S.: l’edizione finale conterrà anche un videoclip, non incluso nella versione promo.