Recensione: This Time
Immarcescibili, loro tre fin dagli esordi, le sorelle Julie e Jody Turner e Tracey Lamb (in passato anche scolaretta nello stesso istituto delle Girlschool). Una prova di unità, sorellanza, cameratismo e consonanza di ideali, più o meno tutti riconducibili al rock ‘n’ roll, come recitava il testo di “It’s More Than Rock ‘n’ Roll“, titletrack dell’omonimo EP pubblicato due anni or sono (“It’s more than rock and roll…It’s what we live for…It’s what we die for“). Il primo singolo data 1982, il primo full-lenght 1983, anno nel quale esce già pure il seguito “Hell Hath No Fury“, a mio parere il loro album migliore ed a tutt’oggi ineguagliato. New Wave Of British Heavy Metal in “gonnella” dice qualcuno, quasi sbeffeggiando, ma di muliebre e delicato nella musica delle londinesi c’è ben poco perché pestano come e più dei colleghi maschi, e non la mandano a dire a nessuno. Ce n’é per tutti, “non esiste peggiore inferno di una donna disprezzata”, appunto. Un album ancora nell’87 (“Young & Free“), poi il silenzio, mentre intanto il music business distrugge e ricostruisce incessantemente ogni cosa. Nel 2017, come detto, il ritorno sulle scene con un Ep combattivo e pugnace, oggi finalmente un nuovo capitolo per intero, 9 tracce per ripartire da dove la trascendenza rock si era interrotta.
Stavolta (“This Time“) le cose dovrebbero forse andare diversamente, sembrano dire le Rock Goddess. In termini di visibilità può darsi, sono altri tempi rispetto ai primi ’80, i canali di comunicazione sono pura fantascienza rispetto ad allora e auguro vivamente alle tre ragazze, nel frattempo diventate donne fatte, di allargare a dismisura i confini della propria fama e della propria celebrità. Musicalmente parlando l’album è perfettamente coerente con l’Ep anticipatorio, nonché più in generale con tutta la tetragona e ortodossa discografia pubblicata dalla band, sin dal giorno alfa. A scanso di equivoci lo dico subito, “This Time” non è un disco sensazionale, non è costellato di canzoni eccezionali e non costituirà una pietra miliare del metallo. tuttavia non si può che apprezzare l’aderenza genuina al proprio credo da parte delle Goddess; massima stima per una musica che è abnegazione, fedeltà, grinta, determinazione, volontà. “This Time” è un album di testimonianza, le Rock Goddess non hanno mollato neppure di un centimetro, checché ne dica l’anagrafe. Sempre e comunque in trincea a combattere con l’uniforme (strumenti a tracolla, pelle nera sulle spalle, lunghi capelli fluenti) per una bandiera mai ammainata. Rock, fortissimamente rock, hardizzato al punto di lambire spesso e volentieri il metallo. Vecchia scuola, vecchia maniera, “classica” nella sua accezione più appropriata.
Tutto ciò non può che suscitare simpatia e apprezzamento nei confronti della band. Con altrettanta onestà intellettuale devo anche dire che l’impressione generale è un po’ la stessa ricavata dall’Ep, un prodotto di medio valore, senza sussulti verso l’alto e senza cadute troppo vistose. Qualche pezzo più magnetico di altri (“Are You Ready?“, “Calling To Space“, “It’s My Turn“), una scaletta che scorre via un po’ troppo liscia. C’è la tempra delle musiciste, la caparbietà, la suggestione di resistere al tempo che passa, ma non c’è un songwriting particolarmente esaltante. Dignitoso, solido, roccioso, ma nella media, non brillante. Neppure aiuta la produzione, quella affatto al passo coi tempi. Un pezzo come “Obesssion” ad esempio ne rimane vittima, con una batteria stritolata da suoni che azzopperebbero pure il Varenne dei giorni migliori. Qua e là il trio controbilancia con armonie vocali abbastanza indovinate (“Drive Me Away“), il riffing così “inglese” scioglie il cuore, ma la legnosità delle architetture rende sovente l’ascolto un po’ troppo prevedibile. Il messaggio delle rockers rimane valido e sempiterno, la forma si rivela o troppo datata o troppo svuotata per continuare a competere adeguatamente con il rock del nuovo millennio. Immagino però anche che alle Rock Goddess la cosa non finisca esattamente col togliere il sonno, loro sono più della scuola “nessuna nuova, buona nuova”. E così sia, la tradizione non scende a compromessi.
Marco Tripodi