Recensione: Thougth Form Descent
“Thougth Form Descent”, settimo full-length in carriera per i canadesi Wake, come suggerisce il titolo, raffigura nei temi trattati l’infinito viaggio all’interno degli altrettanti meandri della mente. Un concept-album che scava a fondo la mente stessa percorrendo labirinti senza fine, allo scopo di avvicinarsi quanto più possibile all’Io.
Kyle Ball, il cantante, ha speso molto del suo tempo per scrivere i testi di questo formidabile percorso, per cui merita molta attenzione la lettura di ciò che è stato vergato per ogni singola canzone del disco. Anche perché egli percorre linee vocali pregne di growling. Roco, allucinato, a volte disperato ma, in linea generale, inintelligibile. Ricadendo, spesso, in harsh vocals interpretate con la massima foga possibile, sfiorando i limiti umani.
Un nocchiero che spinge a tutta forza un death metal travolgente, violentissimo, annichilente, ricchissimo di arditi passaggi tesi a sviluppare l’idea di qualcosa di enorme, senza confini. Saldando così l’ugola alla musica. Operazione apparentemente semplice, che invece richiede una grande armonia e unità di intenti fra i vari componenti della band.
“Thougth Form Descent”, ai primi ascolti, appare come un coacervo di note e accordi spinti in avanti dall’immensa energia propulsiva di incommensurabili sequenze di blast-beats. Il che rende complicato l’approccio all’LP medesimo. Tuttavia, invece di allontanarsi, l’ascoltatore deve al contrario entrare in sintonia con una proposta musicale assolutamente estrema. Allineandosi a essa con uno sforzo mentale agli inizi indubbiamente intenso ma che, a mano a mano che si sommano i percorsi che portano da ‘Infinite Inward’ a ‘The Translation of Deaths’, foriero di mirabili visioni ipnotiche, lisergiche (‘Pareidolia’).
Arjun Gill e Rob LaChance, per primi, sviluppano un riffing di proporzioni epiche. Tale da innalzare un muro di suono senza limiti spazio-temporali sul quale vergare, a mò di promemoria, tutte le emozioni che scaturiscono dall’ascolto del CD. La bravura dei due, seminascosta da una produzione appositamente convulsa, si può apprezzare soprattutto nelle parti soliste, bagnate nella melodia (‘Swallow the Light’). Produzione convulsa che tende un po’ a celare il basso di Ryan Kennedy. Ma solo apparentemente, giacché il suo compito è quello di fornire una spessa base sonora a supporto degli altri quattro compagni di avventura. Pazzesca, invece, la sezione ritmica con a capo Josh Bueckert. Capace di legare il tutto con un drumming assai vario e complesso, imbattibile o quasi quando scatena la cavalleria dei blast-beats, eseguiti con talmente tanta forza ed energia da indurre la trance da hyper-speed. Stato psicotico la cui esistenza è necessaria per entrare letteralmente nel platter.
Ecco, la melodia. In genere lavori di questo genere tendono ad assumere, istintivamente, un approccio dissonante alla questione. Il quintetto di Calgary no. Frammentate in mezzo al plasma eiettato dalla strumentazione, e dalla voce, appaiono come sprazzi di luce colorata intermezzi assai armonici che, anch’essi, contribuiscono all’innesco dell’allucinazione (‘Venerate (The Undoing of All)’). Peraltro, l’utilizzo di inserti orecchiabili aiuta l’assimilazione dell’opera, facendo sì che, davvero, l’album funga da veicolo per l’esplorazione di ciò che alberga nascosto nei più reconditi anfratti della psiche. Contribuendo, inoltre, alla creazione di canzoni diverse le une dalle altre benché fedeli al leitmotiv portante.
Il Bene. Il Male. L’Indifferenza. Non si può sapere cosa ci sia, alla fine del labirinto mentale di cui si è parlato all’inizio, sino a quando “Thougth Form Descent” non avrà avviluppato con le sue trame l’anima di un’Umanità in rapida decadenza, in cui crollano le certezze di millenni di evoluzione etica e morale.
I Wake non sono un act da sottovalutare, anzi. Il loro messaggio è forte, a tratti urlato, e “Thougth Form Descent” è il giusto mezzo di comunicazione.
Daniele “dani66” D’Adamo