Recensione: Thrashletics
Abbiamo lasciato i tedeschi Ravager nel 2017, dopo aver ascoltato e recensito il loro più che discreto album d’esordio ‘Eradicate… Annihilate… Exterminate’, ravvisando in loro una buona potenzialità e delle qualità che, se evidenziate, avrebbero potuto farli emergere.
All’inizio di quest’anno il combo si ripropone con il secondo album e devo dire che la crescita c’è stata … eccome! Il nuovo platter, dal titolo ‘Thrashletic’, reso disponibile dal 15 febbraio 2019 via Iron Shield Records, la label che li aveva tenuti a battesimo, è un concentrato di ferocia, forza esplosiva e melodia che lascia senza fiato. E’ il frutto di un denso impegno da parte di chi, in due anni, ha fatto esperienza, si è schiarito le idee ed ha deciso di prendere una strada precisa.
I Ravager, con ‘Thrashletic’ dimostrano di aver lavorato sodo per prendere una maggiore coscienza delle loro capacità. Hanno limato le sbavature riscontrabili nel primo disco e sono riusciti ad alzare l’asticella, tirando fuori dal cilindro un sound decisamente più tirato, incandescente e, visto il risultato, più adatto alla loro vena artistica.
Senza discostarsi dal Thrash più genuino, rimanendo legato alla vecchia scuola, il quintetto, che non ha subito alcuna modifica di lineup, ha composto brani dai ritmi frenetici e spasmodici, intrisi di cattiveria allo stato puro ma anche di preziose linee melodiche e momenti cupi, facendo così uscire prepotentemente l’album dalla mediocrità.
Il risultato è altamente positivo: la voce di Philip Herbst è migliorata, dimostrandosi più decisa ed interpretativa (certo, non si è trapiantato le corde vocali di Frank Sinatra, ma come cantante Thrash dà punti ad un sacco di vocalist più esperti), le ritmiche sono più granitiche e gli assoli sono di notevole fattura, con le due asce molto attente a seguire la vena melodica del pezzo, senza tirare scale di note a caso.
Parlando brevemente dei singoli brani, dopo ‘Descending Dawn‘, la classica breve introduzione acustica usata nel Thrash per farti stare seduto con calma vicino alle casse dello stereo, parte ‘Mindblender’, che, al contrario, ti fa improvvisamente saltare ed attaccare con le unghie al soffitto, per la sua aggressività, data dalla velocità smodata di un riff incalzante, la determinazione delle strofe e l’incisività del refrain. L’interludio infonde maggiore enfasi con la sua potente cadenza sostenuta da energici cori. E’ veramente un buon inizio.
Segue la Title-track, ‘Thrashletics (Out of Hell)’, che sconvolge con le sue accelerazioni furiose, i rallentamenti forzati che portano a tempi più cadenzati ma comunque potenti; una continua aggressività sonora che non concede cedimenti, una vera deflagrazione.
I Raveger continuano a bombardare i canali uditivi con ‘Society of Blunted State’, marziale, incisiva, con un basso che si mette in buona mostra prima di un’ accelerazione a razzo. Poi l’anima fa un balzo quando arriva l’assolo, intriso di melodia prima di caricarsi di energia elettrica esaltante che porta alla ripresa della trama principale del pezzo.
Segue ‘Dysphoria’, anch’essa intrisa di dinamici cambi di tempo, che anticipa ‘Slaughter of Innocents’, traccia di quasi nove minuti, più del doppio del tempo medio degli altri brani (eccetto la finale ‘Dead Future’, che supera i sei minuti e mezzo) è molto variabile ed avvincente: un inizio epico porta ad una velocità improvvisa, con Philip Herbst che sembra lanciare una sfida canora a Jonh Connelly dei Nuclear Assault. Non la vince, ma con poco scarto, facendo la sua degna e porca figura e dimostrando dove l’ha portato la sua crescita artistica. La velocità s’interseca con la cadenza ed i cori ben piazzati ed incisivi aumentano il phatos. L’interludio porta all’apice il pezzo con un’inaspettata sezione acustica sulla quale s’interseca un ottimo assolo. La quiete prima della tempesta: un riff potente riporta la rabbia in campo ed una sezione musicale pestata e dirompente porta alle strofe finali. Una lunga descrizione per dire che, a parere del sottoscritto ‘Slaughter of Innocents’ è il pezzo migliore dell’album.
Dopo una mini-suite il combo riparte con un brano più diretto: ‘Pit Stop… Don’t Stop in the Pit!’ è velocissina, divertente quanto tosta e rimette in luce le capacità canore del vocalist acquisite in due anni.
Siamo verso la fine. ‘Kill for Nothing’ è devastante, inutili sono altri aggettivi. Molto valido il finale che contrappone l’assolo al refrain, con un aumento dell’esaltazione.
L’album si conclude con la già citata ‘Dead Future’, veloce e con un interludio cupo e disperato. Il finale melodico riporta la quiete.
Già su disco queste nove tracce sono una sferzata diabolica, ma presumo che la loro resa aumenti in modo esponenziale dal vivo, visto che, ascoltandole, non si riesce assolutamente a stare fermi.
Insomma, un ottimo balzo in lungo verso il futuro. Volendo fare un paragone, mantenendo le debite proporzioni e tenendo conto del diverso periodo storico, il salto qualitativo può dirsi simile a quello dei conterranei Tankard quando, nell’era paleozoica, sono passati da ‘Zombie Attack’ a ‘Chemical Invasion’.
Auguriamo ai Ravager la stessa prolifica carriera; con ‘‘Thrashletic’ hanno dimostrato di meritarlo.