Recensione: Three Lions
C’è davvero molto di Dare e Ten in questa prima uscita discografica dei Three Lions, nuovo progetto edito per l’eccellenza di Frontiers Records che, non a caso, poggia proprio sul talento di Vinny Burns (chitarra) e Greg Morgan (batteria), due artisti le cui carriere sono da molto tempo strettamente connesse a quelle delle due band appena citate.
Una collaborazione – narra la biografia – nata per caso dopo un incontro avvenuto al Firefest del 2012, con l’onnipresente melodic-maker Alessandro Del Vecchio e lo sconosciuto Nigel Bailey (voce e basso), ad aggiungersi nel completare la line-up di un side project dalle basi evidentemente ben piantate nel terreno della melodia e del rock raffinato.
Three Lions: un moniker senza dubbio dall’aria epicheggiante che trasmette immediate sensazioni battagliere e passionali. Tutt’altro che epici o guerreschi sono tuttavia i toni prescelti nell’allestimento del debut album uscito qualche giorno fa, a testimonianza di come la sinergia tra i tre leoni britannici (ai quali non possiamo non aggiungere anche il nostro ruggentissimo felino tricolore) sia sorta all’insegna dell’innata classe che ne caratterizza il songwriting nel profondo, tutto giocato su lampi d’energia e sferzate d’eleganza, in cui riconoscere una sempre elevata sensibilità per le melodie avvolgenti, calorose e – in tal caso l’aggettivo è quanto mai consono – “appassionate”.
Il mistero maggiore nell’approcciarsi a questo esordio “leonino” è quello legato alla figura di Nigel Bailey. Sicuro ed estroverso ma soprattutto in possesso di una tenuta vocale di assoluto livello (un paragone “a braccio”, potrebbe vederlo non troppo distante dalle vette tipiche del maestro Jimi Jamison), Bailey è una scoperta fragorosa per qualità e stile: l’interprete perfetto dei brani scritti dal trio Burns/Morgan/Del Vecchio, intrisi di venature hard rock old style e di importanti aperture ad ampio respiro.
Dare e Ten dicevamo, due nomi che si rincorrono spesso negli stilemi di “Three Lions”, evidenziandone le significative caratteristiche di merito e pure quelle minime ragioni di contrasto che in qualche misura hanno spesso dato voce ai detrattori. Armonie molto calde ed emotive che sfociano spesso nel romantico; d’altro canto, una qualche tendenza – di quando in quando – alla prolissità ed all’eccessiva ripetizione delle linee melodiche dei cori, reiterate in modo costante nel finale delle canzoni. Un po’ come ascoltato spesso proprio nelle tracce dei celebri Ten.
Non mancano poi evidenti riferimenti ad altri campioni del settore quali Whitesnake ed agli stessi Survivor: una coppia di brani quali “Holy Water” e “Made For Another” odorano, rispettivamente, di sentito omaggio a due delle più grandi realtà mai esistite in questi ambiti (il giro di chitarra iniziale di “Holy Water” pare quasi un lascito del John Sykes di “1987”), mentre l’impianto complessivo mantiene inalterata una personalità dai tratti quasi solenni e “regali”, come si conviene ad un progetto che, sin dalla sua creazione, mira in qualche modo ad onorare un’iconografia da sempre riferibile alla grandeur dei Leoni Inglesi (o “British Lions”, se preferite).
Non esattamente immediato ed istantaneo (anche in questo caso, un trait d’union con lo stile dei Ten), il debutto del trio britannico mantiene al proprio interno numerosi motivi di sollazzo per le orecchie degli amanti del genere, esemplificabili in un nucleo di tracce che ne sublimano al massimo la notevole caratura artistica.
Di “Holy Water” si è già detto, mentre non possono essere poste in secondo piano anche le sgommate arrembanti delle iniziali “Trouble In A Red Dress” e “Hold Me Down”, ancora cariche di riferimenti Survivoriani, seguite dalla magica atmosfera di cui è imbevuta una splendida ballata come “Two Hearts Beat As One”, episodio che in questo caso pare invece riverberare da vicino l’immortale aria di “I Wanna Know What Love Is” dei Foreigner.
Le ambientazioni care a Ten e soprattutto Dare, si allargano improvvise infine in “Twisted Soul”, “Winter Sun” (manca davvero solo la voce di Darren Wharton) e “Don’t Let Me Fall”, momenti di hard rock – come da canovaccio – regale, ricco di passione, romantico e profondamente emotivo.
Una battaglia, insomma, che non poteva non essere vinta quella dei Three Lions.
Al netto di qualche ridondanza, classe e raffinatezza, unite all’energia del rock, si mescolano nella costruzione di un album fondato sul concetto massimo di melodia, in cui gli omaggi a Ten, Dare, Survivor, Whitesnake, Foreigner e Thin Lizzy sono il pretesto per la realizzazione di una release di livello decisamente alto.
Proprio nel momento d’uscita di questa recensione, il terzetto inglese è stato protagonista del Frontiers Festival, a significare come il gruppo non abbia natura episodica ma voglia tendere ad una continuità nel tempo in grado di proporsi dal vivo e di realizzare altro materiale in futuro.
Una nuova, ottima band, per la quale sperare in grande.
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