Recensione: Three Of A Perfect Pair
Tra i capitoli più importanti della discografia dei King Crimson, “Three Of A Perfect Pair” costituisce probabilmente una delle svolte sonore più significate nella vita di questo gruppo. Migliora la produzione e il suono si fa più limpido ed egocentrico, non mancano tuttavia l’alta tecnica e la sperimentazione maniacale cui questa band ci ha da sempre abituato, l’originalità del songwriting e lo stile inconfondibile non abbandonano il campo su cui questi nove brani sono cresciuti. Il disco potrà sembrare forse più freddo rispetto alle release precedenti, ma come il suo predecessore resterà comunque difficile da digerire in un solo boccone: alti e bassi d’intensità, il suono si squarcia con chitarre e batteria che lasciano senza fiato e si alternano a momenti di stasi complessa in cui ogni nota sembra trovare la sua precisa posizione solo dopo aver seguito la tramam sofferta di quattro menti malate. Udite, udite.
Adrian Belew – Voice, Fretted and Fretless Guitars
Robert Fripp – Guitar
Tony Levin – Bass, Stick , Synth and Background Voice
Bill Bruford – Acoustic and Electric Drumming
Credo di essermi spiegato. Rappresentante del gruppo in questa occasione non può che essere il famoso bassista Tony Levin, da quanto si potrà intuire autore di gran parte di Three Of A Perfect Pair: una schizzofrenica quanto indimenticabile Sleepless si sviluppa sulle spesse corde del suo basso in un percorso tortuoso fatto delle tecniche più difficili da imparare per un aspirante professionista, mentre utilizza lo stick in Nuages ad esempio a ricordare la componente principale che qualche anno più tardi avrebbe ispirato i progetti solisti di un altro re del basso, Sean Malone nei Gordian Knot.
Il feeling della band non attende a mettersi in bella mostra già dai primi secondi. La titletrack in prima posizione riesce a rievocare le sonorità presenti in tutto l’album confermandosi la traccia simbolo del disco non solo per il nome ma anche e soprattutto per la parte strumentale che la compone. Saltellante nel suo dirigersi verso la fine, vede il consueto Levin questa volta alle prese dei synth psichedelici scelti con raffinatezza per esaltare le atmosfere magiche e disarmanti del brano che dopo pochi minuti lascia il testimone ad un altro capolavoro di nome Model Man: toccante ed emozionante fino alle lacrime, il ritratto di un uomo come tutti: un uomo imperfetto in una sola parola, ma disposto a dare tutto ciò di cui si sente in possesso per evitare quei momenti di silenzo, imbarazzo e disagio che spesso costituiscono una relazione.
Industry spezza le sorti del disco con circa sette minuti di laboratorio strumentale, allucinante e ipnotico, un esperimento stupefacente che introduce ad uno dei pezzi più riusciti del gruppo. Dig Me è una delle tracce più corte in questo grosso scatolone del 1984, nonostante tutto trova il tempo per esibirsi in due ritornelli piacevolissimi generati da qualche accordo di chitarra classica e dalla follia di suoni acidi e metallici. Ma non finisce qui. Adesso tocca al batterista Bill Bruford rimboccarsi le maniche e duettare con le atmosfere nauseanti e ossessive di una No Warning frutto esotico di esistenze aliene alla realtà, universi perpendicolari sconosciuti ai più. Il disco si chiude con il suono accattivante della terza parte di Larks’ Tongues In Aspic, altro pezzo prettamente strumentale che aggiunge carne al fuoco con chitarre intrepide, coraggiose nell’aggiungersi alla zuffa controtempo di basso e batteria.
Udite, udite…
Andrea’Onirica’Perdichizzi
TrackList:
1. Three Of A Perfect Pair
2. Model Man
3. Sleepless
4. Man With An Open Heart
5. Nuages (That Wich Passes, Passes Like Clouds)
6. Industry
7. Dig Me
8. No Warning
9. Larks’ Tongues In Aspic Part III