Recensione: Through The Gates Of Light
Etichettare il genere suonato da una band è cosa essenziale, per quanto le band stesse vivono il contrasto del non voler essere inserite in un dato genere e allo stesso tempo creano loro stesse definizioni su misura. Come i Lost Moon, che si autodefiniscono Heavy Tribal Stoner Band oppure Heavy Psycho Stoned. Entrambe, nel loro caso, vanno bene per inquadrarli, aggiungendo il progressive rock come collante.
La band è nata nella metà degli anni ‘90 e quindi coglie spunti da due scene precise di quel decennio, come il grunge e lo stoner. Un progetto che esprime rabbia, passione, energia e primitive pulsazioni psichedeliche, così i Lost Moon presentano il terzo album “Through The Gates Of Light”.
La titletrack strumentale che apre il lotto è in effetti un concentrato di riff apertamente stoner con una forte componente psichedelica e fa da preludio all’esplosione schizoide di “Dawn”. Qui salta subito all’orecchio la voce beffarda e acida del chitarrista e cantante Stefano Paolucci, che porta dentro il germe caustico di Iggy Pop, Mike Patton e persino una vibrazione alla Johnny Rotten, caratterizzando molto la proposta della band. L’impianto strumentale è debitore dei primi Soundgarden (non ha caso nel booklet c’è una dedica al compianto Chris Cornell) miscelato con un ritmo desertico alla Kyuss e chitarre fuzz.
La martellante “Prayer” è bislacca e violenta, il riff portante sa di Helmet e il cantato si fa declamatorio e ossessivo, con in mezzo il synth ad aggiungere una vibrazione “tibetana”. Le strofe acustiche di “Pilgrimage” deflagrano in un ottimo esempio di grunge anni novanta, un viaggio indietro nel tempo dove la chitarra svisa come un sax psichedelico prima di concedersi un assolo wah-wah.
Ai Lost Moon piace inserire momenti acustici dal sapore country nelle loro trame, e si appoggiano anche a uno strumento esotico come il sitar che fa la sua comparsa qui e là nel corso dell’ascolto, così come le percussioni ad opera dello stesso cantante che aggiungono il giusto sapore tribale. La band comunque predilige incalzare l’ascoltatore senza lasciargli troppo fiato, e riesce a coinvolgerlo bene nell’ottima “The Day We Broke The Spell”, mentre si concede un trip onirico e caldo nella conclusiva “Visions”. Questo è un esempio di stoner vecchia maniera, acustico e impregnato dal sitar dove il cantato si placa e veste i panni da crooner del deserto.
Nell’arco teso di “Through The Gates Of Light” la sezione ritmica pesta e suda (“Light Inside” ne è un esempio) ed è piena di groove, e come detto uno degli elementi cardine è la voce di Paolucci, che si insinua come un serpente e libera una schizzata follia nel corso di tutto l’album, sempre però restando al servizio della forma canzone che non perde mai il proprio filo conduttore. L’inglese magari è un po’ masticato, ma meglio così che l’uso di banali testi in italiano.
In sostanza, e andando a spulciare tra le band con cui i Lost Moon hanno condiviso il palco, possiamo consigliare l’ascolto di questo ottimo album agli appassionati della scena heavy-stoner di band come Karma To Burn, Doomraiser, Black Rainbows, Zippo e più in generale a quanti legano la propria esperienza di ascoltatore allo stoner e al grunge di due decadi fa.
L’ascolto e l’acquisto di “Through The Gates Of Light” è disponibile sul profilo Bandcamp dei Lost Moon.