Recensione: Through The Silence Of Words
I SoulTakers si formano nel 1998 ad opera di Francesca e Federica Badalini, rispettivamente chitarra e pianoforte, che completano la line-up con Gianluigi Girardi (voce), Andrea Grumelli (basso) e Mauro De Brasi (batteria).
Propongono un power metal sinfonico abbastanza godibile, con la particolarità che le parti tastieristiche da sempre caratterizzanti il sound del genere in questione, vengono qui sostituite dal piano di Federica.
I pezzi alternano parti intimiste e d’atmosfera a sezioni più tirate e fedeli allo schema neoclassico, con assoli malmsteeniani e partiture puramente power. Le melodie romantiche e struggenti predilette dal combo genovese vengono riproposte come una costante in tutti e tre i pezzi di questo promo e personalizzano in un certo senso il sound di questa band, che fa molto affidamento sull’interpretazione di Gianluigi, vocalist dalla timbrica non certo originalissima, ma di sicuro non fredda e distaccata come molto spesso abbiamo avuto modo di notare in analoghe produzioni. Il secondo brano, “The Fakest Jest”, a questo proposito, mi sembra il più illuminante: le linee vocali non sono banali, e l’atmosfera di cui sopra viene esaltata aggiungendo una linea femminile in lingua francese, davvero godibile.
L’alternanza tra le soluzioni dirette (alla Rhapsody, per intenderci) e quelle più implicite e personali trova il suo apice in “My Infinite”, in cui sono ben contrapposte stranianti melodie pianistiche e vocali allo scontato ritornello o ai guitar solos leziosi di Francesca. La traccia sfuma per poi riprendere con un’outro fortemente espressiva dai toni oscuri e pesanti, creati dai soli pianoforte, voce e violoncello.
Inevitabile, quindi, alla fine, non notare le chiare influenze classiche dei componenti, alcuni dei quali diplomati in conservatorio e insegnanti di musica, nonché già collaboratori dei Power Symphony.
Il consiglio di un fruitore come tanti, è quello di fare attenzione alla facilità di incanalarsi in soluzioni ovvie, e di continuare la ricerca di un sound più personale, visto che la concorrenza è davvero tanta e di conseguenza diventa sempre più difficile colpire l’ascoltatore. La critica è rivolta, nello specifico, specialmente alle ritmiche eseguite da Mauro e Andrea, lasciati troppo in disparte rispetto agli altri tre membri del gruppo.
Un’apprezzamento particolare del sottoscritto va all’artwork, ben curato dal soggetto molto adatto al contesto.
Non posso dire altrettanto della produzione, macchiata da un missaggio non certo perfetto: soprattutto la prima canzone, “Desert Dust”, esaspera un po’ la differenza tra chitarre e pianoforte, ma questo è solo puntiglio.
Tracklist:
1. Desert Dust
2. The Fakest Jest
3. My Infinite
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