Recensione: Throw Down the Gauntlet

Di Stefano Ricetti - 29 Gennaio 2025 - 7:58
Throw Down the Gauntlet
Band: Amethyst
Etichetta: No Remorse
Genere: Heavy 
Anno: 2024
Nazione:
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73

Si prendano cinque giovani metallari svizzeri dalla fede incrollabile e dalle t-shirt sotto il chiodo d’ordinanza – in alternativa la giacchetta di jeans sdrucita – appartenenti a band di comprovata truezza, li si metta insieme per un lustro, dopo un paio di anni si faccia far loro un Ep a mo’ di rodaggio e poi si chieda sempre loro di scrivere tre quarti d’ora scarsi di musica, per un album, come si era usi fare un tempo.

Il risultato che verrà fuori è Throw Down the Gauntlet, un disco composto da otto canzoni licenziato sul mercato dalla No Remorse Records, disponibile sia in Cd che in ellepì. La recensione si riferisce al primo formato, che si accompagna a un libretto di otto pagine con tutti i testi e una foto comprendente i singoli membri della band nella facciata finale.

I cinque rossocrociati componenti gli Amethyst rispondono ai nomi di Freddy (voce), Ramon (chitarra), Yves (chitarra), Miguel “Petroff” Sanchez (basso) ed Eldo (batteria).

A partire dall’iniziale “Embers On The Loose” sino a “Serenade (Under The Rising Moon)”, l’ultimo brano del lotto, ci si immerge in un viaggio temporale che riporta agli albori della Nwobhm, quando anche le orde dei metallari più feroci e agguerriti – Venom a parte – attingevano ancora, giocoforza, anche a schemi ereditati dagli anni Settanta, sebbene energizzandoli in maniera abnorme. Gruppi come Saxon, Iron Maiden, Angel Witch, Diamond Head, Samson, quando ancora se la giocavano a livello di demo. Poi nel giro di poco tutto cambiò e la potenza emanata da questi eroi dell’Acciaio in pectore spazzò via il decennio precedente a suon di chitarre sferraglianti, sezioni ritmiche assassine e cantanti con i controcolleoni. Ma si tratta decisamente di un’altra storia.

Tornando ai primi vagiti Nwobhm, gli Amethyst lungo quarantadue minuti di musica riescono magicamente a riportare a quei momenti in maniera perfettamente aderente al tempo che fu: produzione buona ma non stratosferica, suoni soffusi benché facilmente distinguibili e un cantante dalla tonalità ovattata che rimanda, esagerando un po’, a quello che poi arrivava ai padiglioni auricolari anche quando di là c’era uno che sarebbe divenuto un punto di riferimento assoluto, ovviamente non perché  fosse scarso – benché acerbo -, ma perché i mezzi di registrazione di allora risultavano dozzinali, a essere buoni.

Con l’aggiunta di un tocco di fantasia e autosuggestione dentro Throw Down the Gauntlet si possono ritrovare gli embrionali Iron Maiden, i primissimi Saxon e i Diamond Head in erba, con tutto il loro retaggio anni Settanta che avrebbero detronizzato di lì a breve, quello costituito da UFO, Pink Fairies, Thin Lizzy, Budgie, Uriah Heep e Status Quo.

Piacevole e sorprendente nel suo gusto retrò.

 

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

 

 

 

 

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