Recensione: Thulêan mysteries
Sempre difficile accostarsi ad una nuova opera di Burzum ed essenzialmente per la complessità del personaggio che vi sta alle spalle. Difficile poi accostarsi a questo “Thulêan mysteries” poiché, a differenza delle altre opere del conte, non è stato accompagnato da dichiarazioni di intenti o altro. Cosa rara per un uomo dalla logorrea telematica del Vikernes e dunque, forse, segno di nuovi cambiamenti nella sua vita. Fatto sta che tutta la promozione di questo suo nuovo album è stata costituita da un Tweet. E da un apocrifo comparso, tanto proditoriamente quanto immancabilmente, sempre su Youtube, lo stesso Youtube che lo scorso hanno ha chiuso in rapida successione due account ascritti al conte.
Ci sarebbe ora da dire che qualche anno fa Varg Vikernes aveva dichiarato l’intenzione di voler chiudere con la musica, ma su questo punto sarà bene tornarci alla fine.
È poi difficile accostarsi a “Thulêan mysteries” perché è un album enorme – un doppio di quasi 90 minuti con ben 23 tracce. E, sia chiaro, sebbene le tracce siano quasi tutte strumentali (in qualcuna canta), sono molto, molto, eterogenee.
Ora, le canzoni burzumose con le tastiere sinistre tipiche degli anni ’90 ci sono, pure parecchie. E si riconoscono anche abbastanza bene perché di norma sono quelle che passano i cinque minuti. Il resto è un guazzabuglio decisamente più complicato. Ed anche assai colorato, quindi la copertina Kittelseniana non tragga in inganno.
Non siamo davanti esclusivamente al solito ambient targato Varg Vikernes cui siamo abituati. C’è molto altro e molte di queste 23 composizioni sono per larga parte degli abbozzi, quasi una interminabile successione di intermezzi strumentali di un album folk o atmospheric black.
Tutto questo, più che disorientare, contribuisce piuttosto a rendere l’album molto più godibile, perché i cambi di atmosfera sono molti e profondi. Ci sono canzoni di chitarra semi acustica come ‘ForeBears’. Ci sono, si è detto, le litanie cantate: degna di nota a questo proposito ‘The Great Sleep’ (che riporta alla mente per certi versi gli Storm).
Ci sono poi canzoni con del pianoforte classico ed alcune di queste risultano particolarmente interessanti. In particolare ‘A Thulêan Perspective’, che si presenta con un pianoforte e pochi tocchi di uno strumento a corde. Qui salta fuori un Burzum diverso, che riesce a creare melodie fragili ed intime. Tante che il primo pensiero che corre alla mente è “ma è proprio lui?”. Queste melodie ricompaiono qua e là in tutto il disco anche se spesso sono accompagnate da altri strumenti.
Sono molti gli episodi buoni, al di là del diffuso senso di buttato lì. La preghiera “Heill Óðinn, Sire”, o la bucolica “Gathering of the Herbs”. Ci sono pezzi come “Spell lake Forest” o “The ruins of Dwarfmouth” che riportano alla mente “Dauði Baldrs”. Ci sono pezzi bislacchi come “Heill auk Sæll” o “Thulêan Sorceryl”.
Non stiamo dicendo che “Thulêan mysteries” sia tutto oro colato. Probabilmente a sentirlo senza far altro deve risultare parecchio noioso, soprattutto nelle canzoni burzumose, perché ascoltare lo stesso loop di tastiera per un numero indefinito di minuti va bene se la canzone è una, se sono sei o sette il discorso cambia un po’. Tuttavia dobbiamo dire che “The password” (15 minuti) è uno degli episodi migliori in questo senso. Detto questo, come album di sottofondo “Thulêan mysteries” è ideale e si fa scoprire poco a poco, ora una traccia ora l’altra.
Un fatto però innegabile, almeno a parere di chi scrive, è che quest’album più di altri mette in evidenza come Varg Vikernes sia un artista vero e dotato di una sensibilità altra rispetto a molti. Con quel che ha fatto non è che possa stupire ma già certi testi ‘di prima’ lo lasciavano intuire. Fatto sta che in questo doppi in molti frangenti ci si trova davvero innanzi a musica spontanea che sembra venire dal cuore (l’avreste mai detto che il conte ne ha uno?).
Lungi dal dire che questo disco farà storia o che sia un capolavoro, è innegabile che confermi al cento per cento l’indole della persona che lo ha prodotto. Uno che se ne frega delle mode (e non solo perché non può più raccontare la sua vita su Youtube) e che fa solo quello che sente di dover fare in un determinato momento.
Perché “Thuleân Mysteris” in effetti è un disco diverso anche dagli altri strumentali. In molti lo definiscono la definitiva pietra tombale sulla discografia di Burzum ma il fatto che anni fa abbia detto di voler chiudere con la musica e oggi ci troviamo davanti a un doppio dovrebbe essere eloquente.
Qui forse possiamo chiudere la riflessione precedentemente anticipata riguardo alla persona che sta dietro a Burzum. L’uomo Vikernes ha solo 47 anni ed è lecito ritenere che la sua storia artistica, come quella umana, sia lontana dalla fine. Certamente sentiremo ancora parlare dell’uomo, è probabile che sentiremo ancora l’artista.