Recensione: Thunder of War
Sono passati ben 19 anni da quando, nel lontano 1985, i Gunfire facevano il loro esordio discografico con un mini lp destinato a lasciare un impronta indelebile nella storia del metal italiano. Purtroppo le nuove generazioni di kids hanno dimenticato quel glorioso passato, in cui il successo di italiche bands come Rhapsody o Labyrinth era un qualcosa che non ci si azzardava nemmeno a sognare, e sono in molti a non conoscere ed a non ricordare il nome dei Gunfire, fortunatamente arriva questo “Thunder of War” a rinfrescare la memoria a qualcuno.
L’iniziale “The King’s Amulet” mette subito in chiaro le cose, su questo disco non ci sarà spazio per niente che non sia assolutamente ed inconfutabilmente Heavy Metal, di quello con la H e la M maiuscole, quello fatto di chitarre roventi, melodie avvincenti e mai pacchiane, ma soprattutto di sudore e passione, una passione che la band riesce a trasmettere in maniera impeccabile all’ascoltatore.
È davvero incredibile come, nonostante gli anni passati non siano pochi, il gruppo riesca a mettere in mostra un tale entusiasmo, messo in bella mostra da brani come “Deceiver”, puro concentrato di metallo allo stato puro, che riesce a combinare grandi melodie ad una potenza invidiabile, la mitica “Gunfire”, un vero e proprio manifesto di quella che è, da sempre, l’attitudine della band, cioè coerenza e un incredibile “musicalità” degli arrangiamenti, la title track “Thunder of War”, una canzone che non sfigurerebbe tra i classici di un gruppo come i Saxon, a cui va però aggiunta la personalità prorompente del gruppo, “I Shall Return”, magnifica Power ballad, forse non originale, ma dotata di una carica emotiva che fa passare tutto in secondo piano, grazie soprattutto alla prestazione di Roberto “Drake”Borrelli alla voce, che dona al pezzo un pathos eccezionale, “Sailing Through the Gates of the World”, ennesima prova di come l’Heavy Metal, quello classico e puro, non ha bisogno di chissà quali innovazioni, basta avere le idee giuste, e soprattutto credere in quello che si fa, “Livin’ in Sin”, il brano dal sapore più Rock ‘n Roll del disco, senza però mai dimenticare la potenza, con un inaspettato quanto azzeccato Hammond che fa la sua comparsa a metà canzone, “Heaven on Mars”, up tempo da headbanging furibondo, con sempre un occhio di riguardo alla melodia, a formare un brano davvero esaltante, e dalla conclusiva “Twilight of the Gods”, pezzo dalla carica epico/evocativa davvero spettacolare.
La vera sorpresa arriva però con le bonus track, che altro non sono che la riedizione del mitico mini lp, un viaggio nel passato, anche a livello di suoni, che servirà a chi, come me, ha dei ricordi legati a quel periodo, e che servirà a far capire a chi ai tempi non c’era, anche per motivi anagrafici, cos’era il Metal 20 anni fa in Italia, cioè un qualcosa forse meno professionale di adesso, ma anche un qualcosa vissuto con una passione che oggi stento a ritrovare. “Hard Steel”, le versioni originali di “Thunder of War” e “Gunfire”, e “Wings of Death” sono quanto di più vicino al concetto stesso di Heavy Metal sia possibile ascoltare.
L’unico mezzo passo falso, s così si può definire, è a mio parere “the Fight for the Truth, il cui riff portante è, sempre a mio parere, forse troppo melodico, e toglie un po’ di carica al pezzo, che rimane comunque più che buono.
I suoni mi sono piaciuti parecchio, caldi e ricchi di feeling, riescono a dare la giusta carica a tutti i pezzi.
Tecnicamente la band è di altissimo livello, tutti i musicisti, cioè lo storico Fabio “Lord Blackcat” Allegretto e Luca calò alle chitarre, Maurizio “Lyon” Leone al basso e Marco “Mark” Bianchella alla batteria, mettono la loro indiscutibile perizia al servizio delle canzoni, senza cercare assoli fini a se stessi. Una nota a parte la merita il già citato “Roberto “Drake” Borrelli, in possesso di una voce talmente calda e ricca di pathos che riuscirebbe a donare un alone di “Heavy Metal” anche alle sigle dei cartoni animati, davvero bravissimo!
La cosa che più mi ha colpito di questo disco è però l’atmosfera, che è la stessa che sentivo quando ascoltavo certi dischi tanti anni fa, un emozione che non provavo davvero da tanto tempo, e che mi ha fatto rimpiangere, come un vecchio nostalgico, i bei tempi andati, fermo restando che il disco non suona assolutamente datato, ma al contrario assolutamente al passo coi tempi.
L’Heavy Metal, quello puro, non morirà mai, perlomeno non potrà morire finchè in circolazione ci saranno gruppi come i Gunfire. Una sola parola per definire “Thunder of War”: TRUEMETAL!