Recensione: Thy Will

Di Daniele D'Adamo - 3 Marzo 2014 - 18:19
Thy Will
Band: I Am Heresy
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2014
Nazione:
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74

 

Fra tutti i generi metal è ormai assodato che il death, e di conseguenza (in)diretta il metalcore, sia quello più malleabile; quello cioè che possa essere allargato oltre i confini del metal stesso senza perderne la primigenia indole stilistica.

Gli esempi in materia sono innumerevoli, e gli statunitensi I Am Heresy paiono aver elaborato proprio per ciò “Thy Will”, secondo full-length da collocare temporalmente dopo l’omonimo debut-album del 2011 e l’EP “O Day Star, Son Of Dawn” dell’anno scorso.   

Per dirla tutta, in più, i sei americani (tre chitarre…) hanno davvero lasciato a briglia sciolta la loro voglia di sperimentazione, non ponendosi apparentemente nessun limite formale se non quello della creatività. Stampando così “Thy Will” senza che ad esso sia stata data alcuna possibilità di catalogazione. Una miscela di ‘rumore, caos, la mania strutturata e violenza organizzata’, così come viene da loro stessi definita, che spiazza l’ascoltatore sin dal primo passaggio, lasciando l’amaro in bocca a chi trova rifugio nella ‘facile classificazione’. Affinando l’orecchio, tuttavia, non può passare inosservata la sottile anima *-core che attraversa le quindici tracce del disco; anima che si manifesta con più o meno intensità, ma che lascia trasparire quella radicazione hardcore che, di fatto, è la sostanza primigenia plasmata dagli I Am Heresy. Fermo restando il caratteristico suono secco, metallico e asciutto che contraddistingue la progenie discendente dal punk rock e che, in toto, dà il mood a “Thy Will”, certi passaggi sono senza dubbio accumunabili al più moderno metalcore melodico, come per esempio la magnifica “March Of Black Earth”, esplosiva nei suoi cori struggenti. E ancora, l’irresistibile “Year Zero In The Temple Of Fire”, è una travolgente, fantastica song che obbliga al movimento ogni membra del corpo secondo i dettami del genere anzidetto, seppur più accostabile all’hardcore vero e proprio.   

La caleidoscopica struttura di “Thy Will”, però, comporta quasi inevitabilmente che alla fine si riesca con parecchia difficoltà a seguire il filo di un discorso che, appunto, è troppo lungo e sottile. Troppo duttile, insomma. Una duttilità deleteria così come la malleabilità, all’inizio, era evidenziata quale pregio. Bene o male, grazie alla loro grande perizia tecnica (“Rahabh”), Nathan Gray & soci riescono a tenere assieme i pezzi del rompicapo, evitando una sua frammentazione distruttiva. Tuttavia, certi passaggi appaiono istintivamente fuori contesto (“Thy Will I (Black Sun Alpha)”, “Thy Will II (Black Sun Omega)”, “Alarm”), dando con ciò un’impressione di disorientamento forse più esagerata della sua reale consistenza.   

A parte le più su menzionate canzoni e la superlativa, epica “Seven Wolves And The Daughters Of Apocalypse”, nelle quali la melodia la fa da padrona, “Thy Will” rimane un lavoro duro, arcigno e ruvido. Il piglio del combo del New Jersey è tutt’altro che accomodante, anzi aggressivo; spesso e volentieri addirittura riottoso (“Devour”) grazie soprattutto alle tremende harsh vocals di Gray. L’antitesi fra questi tagli compositivi opposti, seppur foriera d’infinite o quasi possibilità di scrittura, alla fine rappresenta il tallone d’Achille del platter, sospeso fra bene e male, dolcezza e crudezza, armonia e dissonanza.

I tre episodi sopra citati, veri e propri capolavori, se ripetuti con continuità avrebbero reso “Thy Will” un’opera eccezionale e non solo poco più che discreta. Così non è stato e, seppur già maturi, gli I Am Heresy dimostrano con ciò il bisogno di mettere ancora a fuoco il proprio destino. Un destino che, potenzialmente, li può collocare ai vertici del metalcore del terzo millennio. A patto, ovviamente, di scegliere da che parte stare.
 
Daniele “dani66” D’Adamo
 

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