Recensione: Tierras de Leyenda

Di Mauro Crivelli - 18 Settembre 2008 - 0:00
Tierras de Leyenda
Band: Tierra Santa
Etichetta:
Genere:
Anno: 2000
Nazione:
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78

Dopo l’acerbo ma potentissimo Medieval e il capolavoro (senza timore di essere smentito) Legendario, i Tierra Santa si ripresentano al pubblico con questa loro terza opera. Le domande a questo punto possono essere molteplici: sarà un album fedele come sound ai precedenti, un album di sperimentazione o più semplicemente un album di transizione? La risposta è: nessuno di questi tre.
O meglio, tutte e tre le cose insieme.
Tierras de Leyenda rimane sicuramente fedele alle sonorità degli esordi del gruppo spagnolo, azzardando però nuove strade a livello compositivo.

La Tormenta è un’intro coinvolgente che spiana la strada all’ascolto; lo scalpitio degli zoccoli di un cavallo al galoppo si va a sovrapporre a un breve estratto di musica lirica per poi abbattersi su quello che a tutti gli effetti è il primo vero pezzo del disco, Tierras de Leyenda. La song in sé non è male, tutt’altro, è molto potente e non può che far alzare in piedi i fan della band, ma ha un difetto non trascurabile: manca il ritornello, e non è poco per un brano di apertura. Personalmente per iniziare avrei scelto qualcosa di completamente diverso, magari di meno energico ma di più diretto e facilmente assimilabile.
Tutt’altro discorso per la successiva Sodoma y Gomorra, uno dei brani più riusciti dell’opera di Angel e soci: chitarre taglientissime, riff da brivido e ritornello da gridare a squarciagola, sicuramente di forte impatto in sede live (non a caso la band inserisce quasi sempre in scaletta questa canzone nel lotto di apertura). Il brano in questione ha anche il pregio di parlare di Sodoma e Gomorra, le due mitiche città bibliche distrutte per opera divina a causa della blasfemia dei suoi abitanti.
Il lirismo tocca poi livelli eccelsi in La Canción del Pirata, trasposizione musicale di una poesia di José de Espronceda, uno dei massimi esponenti del Romanticismo spagnolo, suddivisa in due parti: la prima arrangiata in chiave metal, diretta e decisa, la seconda più lenta e cadenzata, che inizia con arpeggi di chitarra classica a far da sfondo al suadente cantato di Angel, quasi ad accompagnare il lento navigare del galeone pirata del protagonista, e termina con un fragore di chitarre, dando un tocco di maestosità all’opera, sicuramente uno dei capolavori assoluti della band.
Un’altra intro strumentale, El Secreto del Faraón, apre la seconda parte del disco e ci introduce nell’affascinante mondo dell’antico Egitto; la melodia è maestosa e ossessiva, dà la sensazione di trovarsi all’interno di un’enorme piramide dalla quale non si riesce a uscire.
La Momia è caratterizzata da una prima parte melodica, in cui spicca la voce di Angel, una parte centrale in cui le chitarre ricreano alla perfezione le atmosfere dell’epoca dei faraoni e una parte finale più heavy, in cui viene fuori lo stile inconfondibile dei Tierra Santa. Perfetto anche il ritornello, con quel suggestivo il tuo destino la morte cambiò che suscita non poche emozioni.
Momento aspro invece La Torre de Babel, pezzo veloce e diretto, pieno zeppo di riff dal retrogusto maideniano. Il testo ancora una volta predilige l’ambito mitologico, con chiari riferimenti alla torre costruita nell’antica Mesopotamia con l’intento di arrivare al cielo, quasi a sfidare l’onnipotenza divina.
Arriviamo così a Una Juventud Perdida, classico della band, ballata romantica di forte impatto, ineccepibile sotto ogni punto di vista: tecnico, compositivo, melodico, emotivo. Il brano parla del dolore delle madri dei cosiddetti desaparecidos, i dissidenti che durante la dittatura militare in Argentina tra il 1976 e il 1983 venivano rapiti, torturati e uccisi senza nessuna pietà.
La Caja de Pandora (che prende spunto dalla leggenda greca) è un mid-tempo davvero coinvolgente, con il basso a fare la parte del leone e le chitarre a lanciarsi in originali assoli; buon passaggio che riesce nel difficile compito di non annoiare l’ascoltatore in attesa del brano di chiusura dell’album.
Brano di chiusura che è una potente cavalcata heavy, El Caballo de Troya, sicuramente uno dei momenti più emozionanti del disco, epica, maestosa e dal refrain devastante.

Tirando le somme, con questo terzo studio album i Tierra Santa hanno sicuramente confermato quanto di buono iniziato con i precedenti lavori: il suono del gruppo spagnolo è rimasto pressoché intatto per quanto riguarda i pezzi power, gli arrangiamenti sono sempre curati nei minimi dettagli e i testi privilegiano sempre la sfera mitologica. Per quanto riguarda le novità, ciò che veramente risalta è la melodia. Non che nei precedenti lavori non ve ne fosse, anzi, ma con questo Tierras de Leyenda iniziano ad apparire le prime ballate in senso stretto del gruppo spagnolo, i primi momenti romantici, riflessivi (anche all’interno di brani non propriamente soft). Forse è proprio dalla miscela di momenti heavy in salsa power (un po’ il marchio di fabbrica della band) e aperture melodiche che nascerà il futuro sound del combo iberico… Chi può saperlo? Chi vivrà vedrà.
Nel frattempo, acquisto consigliato.

Mauro Crivelli

Tracklist:
1. La Tormenta 
2. Tierras de Leyenda 
3. Sodoma y Gomorra m
4. La Canción del Pirata (Part I) 
5. La Canción del Pirata (Part II) 
6. El Secreto del Faraón 
7. La Momia 
8. La Torre de Babel 
9. Una Juventud Perdida 
10. La Caja de Pandora 
11. El Caballo de Troya

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