Recensione: Til Alle Heimsens Endar
Alla considerevole distanza di quattro anni dal debutto ‘Skogskvad’ i Galar ritengono i tempi maturi per confrontarsi con l’importante appuntamento del secondo full-length della loro storia musicale. Lo fanno dopo aver lasciato la Heavy Horses ed essere approdati alla norvegese Dark Essence Records.
Il primo impatto con ‘Til Alle Heimsens Endar’ è attraverso il suggestivo artwork di Robert Høyem, un lavoro minimalista che ripercorre la direzione stilistica dei Galar del primo lavoro. In realtà gli artwork disponibili sono due ed entrambi decisamente interessanti: oltre a quello scelto per questa recensione ne esiste un secondo ancora più semplice, ancora con lo stesso stile e la stessa scelta cromatica, che ha come unico elemento un accenno di sentiero al centro. In entrambi i casi, alla luce di quanto sentito proprio nel debutto e cercando di interpretare la copertina del disco potremmo intendere un desiderio di ritornare alla fredda semplicità della scuola nazionale norvegese: non è del tutto così. Vedremo più avanti perchè.
Gli archi sinistri e il piano lontano dell’intro Forspill e dell’outro Etterspill racchiudono sei brani di media/lunga durata in pieno stile norvegese. Le componenti che si presentano in Vàn e indugiano per tutta la durata del disco sono fondamentalmente tre: una struttura ritmica e un disegno di chitarra che richiamano – con una certa nostalgia – gli Ulver dei primissimi anni costituiscono lo scheletro black metal su cui vanno a svilupparsi quella che possiamo definire una chitarra “solista” alla Glittertind – anche se meno dinamica e più propriamente viking – e le parti vocali (sia in pulito che in screaming) nei modi dei fu Windir. Questa struttura viene variata da un uso più classico della chitarra (il tipico palm-muting sulla tonica, per esempio) che anticipano accelerazioni e rallentamenti tipici del genere. Un manifesto delle sluzioni armoniche dei Galar si può trovare nei 9 minuti abbondanti di Grámr, durante i quali si alternano i tratti appena descritti, intervallati da una parentesi acustica nella parte centrale del brano.
Molto interessante l’inusuale sonata di piano e violino Det graa riket, che mescola i presagi della scuola norvegese di fine ‘800/inizio ‘900 con consonanza e proporzioni della classica moderna. Un episodio atipico del metal scandinavo che trova probabilmente una più illustre parente nella porzione acustiche e strumentali ulveriane.
Ritengo questo disco un ibrido sufficiente, ma ammetto di aver percepito certe scelte e certi passaggi forse meno coerenti e lineari del necessario come un tentativo di voler inserire forse troppo, di inglobare diversi aspetti troppo velocemente, forzando il naturale corso della melodia. Alcuni cambi e passaggi sono fluidi e strutturati mentre altri sembrano invece giungere semplicemente a svolgere il mero mestiere. Manca in un certo senso continuità tra le soluzioni. Questa è l’unica osservazione negativa che mi sento di fare a un lavoro comunque discreto che insegue un tipo di suono già caro a Kampfar o al Vintersorg d’annata. Questo tentativo di sintesi presenta infatti una contaminazione che potrebbe essere accolta come un compromesso di cui è il lato più intransigente a perdere terreno. Ammetto che è una sensazione che ho avuto al momento dell’ascolto e ammetto che mi sarebbe piaciuto aver potuto sentire il punto d’arrivo di un disco in cui sia la vocazione più minimalista ad avere il ruolo dominante.
Nulla di eclatante, il secondo genito dei Galar è un lavoro onesto chiaramente di transizione che lascia discrete porte aperte per il futuro, nel caso in cui i Galar migliorino quegli aspetti su cui ancora occorre lavorare o decidano di lasciare questa modalità ibrida per muoversi verso un lato o l’altro della loro musica.
Tracklist:
1. Forspill
2. Ván
3. Paa frossen mark
4. Grámr 5. Det graa riket 6. Ingen siger vart vunnin
7. Til alle heimsens endar
8. Etterspill
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