Recensione: Time II

Di Paolo Fagioli D'Antona - 2 Settembre 2024 - 14:47
Time II
84

La domanda che ci si pone in questo inizio di recensione di Time II dei Wintersun è la seguente: come fa uno specifico disco a reggere le aspettative monumentali che si è costruito attorno? Tra l’hype generale dei fan, una delle operazioni di crowdfunding più di successo degli ultimi anni in musica, più di un milione di euro spesi nella produzione e i dodici anni passati dal suo primo capitolo, questo nuovo parto della band di Jari Mäenpää rappresenta senza dubbio uno degli album più attesi nell’ambito del panorama metal dell’ultimo periodo. È necessario quindi lasciare da parte tutte le chiacchere e le polemiche che ci sono state attorno alla release di questo disco e focalizzarsi sull’unica cosa veramente importante: la musica.

Prima però, per dovere di cronaca, un passo indietro per capire la genesi di un disco le cui basi e la sua creazione risale addirittura al 2006. È stato proprio in questo periodo infatti, dopo la release del meraviglioso debutto, che Jari si è messo al lavoro su quello che sarebbe diventato il progetto Time, completando la registrazione prima che la label decise di spezzare il tutto in due album separati. E fu così che Time I uscì nel 2012, ma il mixaggio e il processo di mastering di Time II ha dovuto aspettare per ben dodici anni per vedersi completo, questo per via dell’enorme quantità di tracce sonore presenti che richiedevano, a seconda di Jari, una tecnologia che allora era fuori portata per la band. Time I è stato registrato con i mezzi disponibili all’epoca, ma per Time II il visionario Jari voleva tirare fuori un prodotto che a livello di produzione non fosse in alcun modo un compromesso.

Dunque viene automatico chiederci se tutto questo investimento di tempo e di denaro abbia giovato alla fine al disco e la risposta è che Time II suona in maniera assolutamente pulita, magistrale, grandiosa e addirittura migliore rispetto al già impressionante Time I. Uno spettacolo per le orecchie che manderà in brodo di giuggiole l’ascoltatore con qualche doverosa puntualizzazione. Prima di tutto il sound delle chitarre è più corposo rispetto al primo Time– onestamente la nostra la preoccupazione risiedeva nel fatto che le chitarre sarebbero state sovrastate dalle orchestrazioni, ma ciò non appare. Esse infatti tagliano dirette attraverso le frequenze sonore dell’album per un sound heavy e corposo, con oltretutto una batteria mixata con un volume abbastanza alto rispetto al solito, dando ai blast-beat e al drumming furioso ma anche articolato di Kai Hahto una potenza non indifferente. Va detto anche che le vocals del buon Jari al contrario, le sentiamo a tratti un pochino soffocate, specie nei brani più diretti e pesanti e questo a nostro avviso è un elemento che poteva essere stato curato un tantino meglio anche considerando che la sua enunciazione delle parole appare meno nitida e meno comprensibile anche a causa di questo.

Il secondo elemento di cui dobbiamo parlare è rappresentato dal concept del disco, la musica contenuta in esso, e come questi aspetti si legano al primo Time. L’album seguendo il filo conduttore del primo capitolo parla del tempo e di tutte le sfaccettature legate a questo concetto. Molto bella l’immagine raffigurata in copertina dell’albero dalle foglie argentate che si lega non solo al brano finale dal titolo Silver Leaves, ma è anche una rappresentazione, a detta dello stesso Jari, di un’entità che rimane immutata per secoli ( difatti spesso quel tipo di alberi hanno una vita media che può arrivare anche a mille anni). Una sorte di testimone immutato e immutabile al passare del tempo che scruta la vita e la morte di migliaia o milioni di esseri viventi. Questa stessa copertina oltre ad essere un’opera d’arte incredibile, offre la perfetta rappresentazione di ciò che musicalmente hanno riportato i Wintersun in musica, con quelle sinfonie dal sapore orientale che rappresentavano uno dei trademark principali del primo Time coadiuvate alla desolazione invernale che tanto si ricollega al sound dei Wintersun.

A livello di costruzione dei pezzi, al contrario, abbiamo trovato una certa differenza con il primo capitolo. Se difatti in Time I trovavamo dei brani come Sons Of Winter And Stars che erano un continuo saliscendi di emozioni, con all’interno parti furiose in blast-beat e aperture melodiche incredibili, presi singolarmente i brani di Time II hanno quasi sempre un “vibe” molto specifico. Ci sono pezzi velocissimi e furiosi, suonati a mille come Storm e The Way Of The Fire e altri che sono totalmente “chill”, rilassati e malinconici come Silver Leaves. È per questo che secondo noi questo disco va assolutamente ascoltato dall’inizio alla fine, proprio perché questi brani piazzati l’uno di fianco all’altro si completano a vicenda, ed insieme ad intro e intermezzo, donano all’ascoltatore il senso di un saliscendi sonoro ed emozionale, per un viaggio musicale di quarantotto minuti davvero avvincente.

Questo è dunque un disco simile ma allo stesso tempo diverso dal suo primo capitolo, migliore nella produzione e sicuramente molto coerente rispetto alle sonorità del disco del 2012, ma allo stesso tempo probabilmente un album meno immediato, meno fruibile ai primi ascolti, e con meno elementi che si stampano in testa sin dall’inizio. Se si pensa ai grandiosi ritornelli solenni e battaglieri della già citata Sons oF Winter And Stars ma anche di altri pezzi della discografia dei Wintersun come Awaken From The Dark Slumber o Death And The Healing (entrando qui in territori più malinconici), sicuramente manca in parte questo tipo di elemento più “catchy”, salvo per alcune eccezioni. Tuttavia, dove questo disco sicuramente eccelle è nei dettagli e nell’atmosfera. Come non menzionare per esempio i magnifici assoli cosparsi in brani come The Way Of the Fire e Storm? Alcuni dei migliori mai prodotti dalla band finlandese, frenetici, virtuosi, talvolta dal sapore vagamente neoclassico. Per non parlare delle melodie ed armonie influenzate dalla cultura giapponese che su Jari Mäenpää hanno sempre avuto un impatto importante sin da quando era bambino e rimase ipnotizzato per la prima volta dalle colonne sonore di videogiochi come The Last Ninja, o più in la da quelle di film come Memorie di Una Geisha. Tutti questi strumenti per ragioni pratiche e di budget sono stati ricreati dai samples. Non ci sono strumenti tradizionali veri e propri della cultura asiatica in questo disco, ma troviamo che il risultato sia comunque ben riuscito. Molto appropriata anche la sezione cantata in finlandese all’interno di Silver Leaves, un piccolo compromesso da parte di Jari che voleva introdurre delle parti cantate in giapponese ma ha poi desistito, optando per la lingua finlandese. Una soluzione nel suo caso ovviamente molto più semplice e che allo stesso tempo, benché appartenga ad una cultura così diversa, porta con se quello stesso “vibe” esotico che si adatta alla toccante Silver Leaves.

L’album si apre con Fields Of Snow, una intro che a tutti gli effetti è l’unica composizione “recente” di questo platter: è stata infatti creata da Jari solamente in un secondo momento, dopo la decisione di dividere Time in due parti. Fields Of Snow è una intro splendida che, con i suoi suoni dal sapore orientale a tratti somiglianti quasi a dei lamenti della natura, disegna davanti all’ascoltatore un paesaggio invernale fatto di desolazione e malinconia. Bellissimo il crescendo sul finale che sfocia in The Way Of The Fire che ci travolge con i suoi blast-beat incessanti facendoci sobbalzare dalla sedia. Incredibile davvero il lavoro di Kai Hahto alla batteria su questo pezzo, ma in generale in tutto il disco, dove il drummer suona davvero intenso e devastante anche grazie ad un mix che mette in risalto le sue parti in maniera molto preponderante (forse un pelino troppo per i nostri gusti).

“Fire burns wild in the mountain, il burns deep inside my heart, it burns away the harmony of space and time, but from the ashes a new world will rise”- è proprio questo il primo vero ritornello del disco, forse non ha l’impatto di quello di tanti altri brani dei Wintersun, proprio perché la voce in pulito di Jari è un tantino sovrastata dalla strumentazione facendogli perdere quell’epicità che con un mixing un pochino più curato, poteva far spiccare questo chorus decisamente di più. Per il resto The Way Of The Fire è un gran pezzo, molto migliore in questa sua versione rispetto alla veste che abbiamo sentito per anni nelle varie clip sparse su Youtube ( è da notare infatti che il seguente brano è stato proposto dal vivo svariate volte). Tutto è assolutamente meraviglioso in un brano che, nonostante duri dieci minuti ad un’intensità elevatissima ci mostra anche il lato più emotivo della band con delle linee di chitarra talvolta semplici ma d’impatto, mentre in altre lo stesso Jari ci delizia con degli assoli ipertecnici e virtuosi, quasi alla Petrucci, che ci hanno lasciato di stucco. Molto bella anche l’associazione al fuoco come elemento che regola le dinamiche del nostro universo e quindi anche legato con la concezione del tempo, un simbolo di potenza che di certo si adatta bene ad un pezzo così frenetico, ma che può essere anche visto come un elemento associato alle emozioni umane – quel fuoco interiore che Jari stesso menziona nella canzone può essere legato infatti alla parte più emotiva e trascinante della musica dei Wintersun. Che spettacolo poi l’apertura melodica in mezzo alla canzone; un elemento che spezza il ritmo e la frenesia del brano e che avremmo voluto sentire maggiormente in altri pezzi perché crea quella sensazione di “saliscendi emotivo” che ha sempre contraddistinto la musica di questa band.

One With The Shadows è il pezzo probabilmente più equilibrato del disco con lo screaming di Jari stavolta meno sovrastato dal drumming incessante e dalle orchestrazioni che taglia nel mix in maniera perfetta, donandoci un pezzo ancora una volta con delle linee di chitarra davvero emozionanti oltre a delle clean vocals davvero emozionali.

Nuvole nere incombono – è infatti con Ominous Clouds che la band ci introduce a quella che è una delle migliori doppiette dell’album. Il build-up di tensione e di atmosfera in questo intermezzo da poco più di due minuti con tanto di tuoni e di pioggia in sottofondo e lo shredding funambolico, quasi malmsteeniano di Jari, è un’introduzione perfetta alla successiva Storm che travolge nuovamente l’ascoltatore con un brano che per oltre sette minuti non lascia fiato, con un assedio sonoro di incredibile intensità ma che allo stesso tempo sa essere incredibilmente atmosferico e plumbeo. Il brano si spezza improvvisamente con una sezione arpeggiata che sfocia in un caldissimo e sognante assolo di chitarra prima che il brano ci culli per i successivi due minuti con una outro dal sapore molto delicato che francamente, considerando poi i dodici minuti della conclusiva Silver Leaves, molto melodica e rilassata nella sua totalità, poteva essere tagliato almeno di un minuto, anche contando l’ulteriore outro della stessa closer dell’album.

Insomma, una doppietta finale che ha ricordato molto quella di The Forest Seasons del 2017 che vedeva Eternal Darkness seguita da Lonliness, ed in effetti a detta di Jari, proprio quest’ultimo disco è stato costruito sulla falsariga di Time II (che ricordiamoci era già stato scritto molto prima di The Forest Seasons).

Ruscelli che scorrono, il soffio del vento accompagnati da melodie delicate dal sapore nipponico… è proprio con la conclusiva Silver Leaves che la band mostra appieno il suo amore per queste sonorità più orientali, scegliendo di chiudere l’album con un pezzo che ci culla tra malinconia e speranza. Un contrasto così forte rispetto alla precedente Storm, eppure allo stesso tempo un finale così azzeccato…

Un ultimissimo appunto su questo disco è doveroso e sta nel fatto che, nell’era in cui gli album vengono quasi sempre anticipati da tre o quattro singoli, è stata una bellissima novità non aver avuto alcuna anticipazione, se non un piccolo video dal canale Youtube dei Winersun con dei brevissimi “snippet”. Una ventata d’aria fresca insomma, ed stato bello per una volta ascoltare l’album senza anticipazioni, lasciandoci stupire dal primo ascolto.

In conclusione Time II è un disco che, benché secondo noi non raggiunga le vette di eccellenza e di perfezione né di Time I né di Wintersun (a livello puramente di songwriting), resta un lavoro unico in un panorama musicale dove la band di Jari Mäenpää rappresenta davvero un’eccellenza di prim’ordine nell’ambito del genere proposto. Time II è un viaggio sonoro esaltante, ricco e raffinato, che porterà gli ascoltatori a viaggiare in mondi paralleli in questa avventura cinematica e grandiosa da tutti i punti di vista, accompagnata da una produzione incredibile (eccetto per qualche piccolissima nota su alcuni aspetti del mixaggio), e da un sound che è una fusione di intensità e melodia; dalla freddezza tipicamente scandinava e dalla velocità di brani come Storm, alla calda e avvolgente malinconia orientale di un brano come Silver Leaves.

Un disco che, col sennò di poi, sarebbe potuto uscire parecchi anni prima? Forse. Alla fine però la decisione finale è giusto che rimanga e sia rimasta nelle mani del suo creatore Jari Mäenpää, per molti un perfezionista di prim’ordine, per altri un musicista scaltro che si è fin troppo approfittato della passione e la devozione dei propri fan. Ad ognuno la sua opinione, ma Time II dei Wintersun rimarrà un disco che continuerà a ruotare nei nostri impianti per molto, molto tempo.

 

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