Recensione: Time Lurker
L’omonimo primo full-length dei Time Lurker è certamente una gradita sorpresa del panorama black metal. Il progetto vede protagonista Mick, polistrumentista che, per la scelta del moniker del suo progetto, si rifà ad un brano dei francesi Catacomb.
‘Time’s Lurker’, così si intitolava, vedeva protagonisti zio – James Moreau – e zia – Nathalie – del musicista. Al di là di questa curiosità, il disco veleggia nel mare del più cupo, ma atmosferico, dei black metal. Un sound dagli echi lancinanti, dolore che si trasforma in follia e che poi si alza in un lapillo di fuliggine che copre il sole. Raggi si spezzano, rifranti da queste particelle di nero, disegnando fiochi e melanconici pensieri di un passato fatto di acredine e mestizia. Un vulcano che erutta e che si intreccia con una luce che, simbolo di speranza, in lontananza intravediamo. L’uso delle voci, straziante e in grado di trafiggere sensibilità spiccate, si manifesta come se fosse un lamento, innalzato da delle strutture in grado di elevare il full-length sopra la media. Non parliamo di dissonanze, virtuosismi o sperimentazioni, solo di una precipua capacità di emozionare con armonie ed ambientazioni che abbracciano anche il concetto di psichedelia ed ambient.
L’omonimo Time Lurker è un full-length libero da mode, sicuramente legato al più vetusto concetto ritualistico di black metal, ma in grado di spingersi oltre, in universi che non incutono timore, bensì curiosità. Ci spostiamo così idealmente da un mondo che ci fagocita ad uno che a tratti ci tiene sospesi, abbagliati per sfumature e capacità di emozionare. Troviamo, in taluni aspetti, alcuni riferimenti alla scuola americana, Wolves in the Throne Room e Krallice per citarne alcune. Ci aspettiamo molto da una realtà che mostra empatia e capacità espressive che denota un buon livello, nonostante ci si trovi di fronte ad una one-man band. Vedremo se Mick saprà continuare su questa strada, con spontaneità e tatto musicale.
Stefano “Thiess” Santamaria