Recensione: Time Tells No Lies

Di Filippo Benedetto - 7 Dicembre 2003 - 0:00
Time Tells No Lies
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Anno: 1981
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84

Verso la fine degli anni 70 molti gruppi, supportati da una non vastissima ma fedele fetta di pubblico, si accingevano a calcare le scene dell’underground londinese proponendo un genere di hard rock (unica definizione possibile ai tempi per definire la musica dura) molto diretto, più potente e grezzo. Il Punk dal canto suo andava per la maggiore, ma i primi “vagiti” della cosiddetta New Wave Of British Heavy Metal cominciavano ad arrivare alle orecchie di sempre più larghe fette di delusi dal corso del music business dei tempi. Schematicamente è così che sono nate e hanno raggiunto il successo band come Iron Maiden, Def Leppard, Saxon, Angel Witch, Holocaust e Praying Mantis. Quest’ultima è la band di cui si occuperemo in questa recensione. Questo gruppo può essere considerato tra i più melodici del movimento della New Wave of British Heavy Metal, essendo il gusto e l’impostazione musicale che lo contraddistingue, melodico quanto basta per farli stare in un’immaginaria linea di confine tra il più classico heavy metal e un certo AOR di buona fattura. Il combo, dopo un esordio non dissimile da molte altre bands del periodo (tutto costruito su di una solida fama di live band), riesce ad incidere nel 1981 il suo LP d’esordio intitolato “Time Tells no Lies”. Il disco riscosse al momento dell’uscita un più che discreto successo, facendo conoscere ad una platea più vasta del circolo underground dove erano cresciuti le doti dei suoi membri: Tino Troy (voce e chitarre ritmiche e soliste), Chris Troy (voce, basso), Steve Caroll (voce, chitarre ritmiche e soliste) e Dave Potts (batteria). Cominciamo dall’analisi della copertina di questo debut, ritraente un’enorme “Mantide Religiosa” annidata su di una roccia in una desertica quanto fantascientifica landa. A guardare bene la copertina, insomma,   pare proprio di trovarsi su di un ambiente sconosciuto e inospitale ed un pianeta dalle chiare forme di teschio disegnato sullo sfondo non promette altro che minacciosi presagi.
Si parte con “Cheated” ed è subito un hard rock melodico ma dal refrain coinvolgente a colpire l’orecchio dell’ascoltatore. Il brano viaggia su di una base ritmica sostenuta al punto giusto per colpire al cuore e una voce ben impostata impreziosisce la già buona fattura della track. Nella seguente “All day and all of the nights”, cover di Ray Davies, la band dichiara esplicitamente il suo amore per un certo tipo di rock e nello stesso tempo mostra anche una versatilità encomiabile. Il pezzo è eseguito rispettando l’originale struttura della song coverizzata anche se il combo esegue il tutto secondo una personale interpretazione. In “Running for Tomorrow”, frizzante brano in cui è possibile riscontrare alcuni canoni tipici del sound della “new wave of british heavy metal”. La song si snoda lungo una serie di riff dall’impatto efficace ed è sostenuta da un buon lavoro alla sezione ritmica.
“Rich city Kids” prosegue il discorso musicale introdotto dalla precedente track, essendo un ben riuscito combinato d’istintività e melodia. Un bell’assolo riesce a modellare il brano in un “crescendo” molto convincente in quanto a resa sonora. Molto ben costruito il refrain che si alterna a riffs vivaci e di sicuro impatto. Con “Lovers to the grave” il combo britannico ammorbidisce notevolmente il suo sound per costruire una song dalle atmosfere malinconiche e toccanti. Il risultato è pregevole e dimostra con maggiore chiarezza le doti melodiche dei Praying Mantis, affatto a disagio in questi frangenti. Il lavoro delle chitarre soliste è ancora una volta degno di nota e si dimostra essenziale nella costruzione di soluzioni armoniche decisive per lo sviluppo della song.
La vena heavy riaffiora di nuovo nella successiva “Panic in the streets” dove le ritmiche basso/batteria svolgono il ruolo fondamentale di trascinare il resto degli strumenti per costruire una song molto vivace. Anche qui, bisogna dirlo, il lavoro delle chitarre è encomiabile, essendo fondato su efficaci incroci di riffs. “Beats of Ebony” ha un attacco molto impostato su riffs che, nella struttura quanto nell’esecuzione, rimandano al più classico dei cliché heavy dei primi anni 80 e il risultato che ne viene fuori è un’altra song vigorosa che trova naturale sviluppo in un bel refrain dalla melodica accattivante. In sostanza una track che dimostra una volta di più l’intelligente capacità del combo di calibrare bene la propria essenza heavy con quella di più melodico impatto. Un riff deciso e pieno di brio si rivela fin dall’inizio quello portante della seguente “Flirting with Suicide”. Questo pezzo è incentrato su ritmiche sostenute che fanno da ottimo sostegno al sempre melodico refrain. Un bell’assolo impreziosisce il tutto fino ad una decisa accelerata delle ritmiche molto convincente. Un riff introduttivo aggressivo apre “Children of the Earth”, pezzo nel quale sembrano fondersi elegantemente tutte le atmosfere esplorate nei precedenti brani: si passa da frizzanti riff, a melodiche e suadenti decelerazioni fino all’irrompere di un bell’assolo che prelude ad un potente riff di chiusura.
Il disco si chiude qui e devo dire che non poteva chiudersi meglio, convincendomi una volta di più dell’importanza che questa band, purtroppo non molto conosciuta dai più, ha avuto nel panorama heavy del periodo e dandomi ulteriore conferma di quanto importante sia stata la New Wave of British Heavy Metal per gli sviluppi successivi del genere.

 

 

Tracklist:

01. Cheated
02. All Day and all of the night 
03. Running For Tomorrow 
04. Rich City Kids 
05. Lovers To The Grave 
06. Panic In The Streets 
07. Beads of Ebony 
08. Flirting With Suicide 
09. Children Of The Earth 

10. 30 Pieces Of Silver* 
11. Flirting With Suicide(Live)* 
12. Panic In The Streets(Live)*

* bonus tracks

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