Recensione: Time To Destroy
Il sound degli Svedesi Stormdeath catapulta violentemente nel passato, al tempo in cui la musica estrema era ancora all’interno di un gigantesco calderone infernale, con il vecchio satanasso a rimestarla.
Le band emergenti, influenzate da chi era già grande, come gli spregiudicati Motorhead e gli oscuri Black Sabbath, o come i gruppi della nuova frangia, che crearono il movimento della New Wave of British Heavy Metal (NWOBHM), vollero lasciare il segno con qualcosa di nuovo, di sorprendentemente forte ed aggressivo.
Dagli anfratti dell’Ade fuoriuscirono i Venom ed i Bathory, con il loro suono primordiale, nero come una notte d’inverno e grondante sangue di anime dannate. Esplosero i Metallica con “Kill ‘em All”, i Testament con “The Legacy” e s’imposero gli Slayer, gli Anthrax e decine di altri gruppi incredibili, ancora oggi in sella a combattere la loro battaglia.
L’albero capostipite dell’Heavy Metal cominciò a stendere i suoi rami: si diffusero il demoniaco Black Metal, il veloce Speed Metal e ……………. l’arrabbiatissimo Thrash Metal.
Il “battere e percuotere” attraverso l’uso incessante della doppia cassa e della chitarra ritmica come se fosse una sega elettrica, l’introduzione di sonorità Hardcore a rafforzare una voce assassina e graffiante dilagò per il globo: maggiori epicentri la Bay Area Californiana ed i territori incandescenti della Ruhr Tedesca.
Un sound istintivo, grezzo e senza mezzi termini impattò sulla folla come uno tsunami, per affinarsi poi nel tempo grazie alla maestria tecnica dei musicisti ed alla loro volontà di evolvere.
Gli Stormdeath si riferiscono a quel magico primo periodo storico, ricreando la stessa atmosfera.
Essenziali, grezzi e primitivi, trasudanti violenza schietta e diretta, attraverso l’uso di testi monotematici (satana e la birra), scritti senza voler infondere nessun particolare messaggio, i quattro demoni della Contea di Västra Götalands län rappresentano, soprattutto, tanta voglia di suonare e di diffondere la musica dei loro idoli.
Questo è “Time to Destroy”, il loro nuovo album pubblicato il 9 dicembre 2016 dalla label Witches Brew, successivo ai due EP “Godrun” del 2010 e “Promodeath” del 2012.
Nove brani incisivi, per una durata totale di oltre quaranta minuti, intrisi di velocità, rallentamenti e mid-tempo pestati, legati da riff “lineari” quanto taglienti scaturiscono malvagiamente dai solchi del Full-Length, possedendo l’incauto ascoltatore fino a trascinarlo in un maniacale headbanging.
Il songwriting, per quanto grezzo e sgraziato, non nasconde la qualità dei musicisti, appartenenti singolarmente anche ad altri progetti della scena estrema svedese, tra i quali Pagan Rites, Styggelse, The Black Project, Beyond Mortality ed Armory.
Predator (nome da umano Michel Nygren) svolge egregiamente la sua parte dietro le pelli, creando, insieme al bassista Incinerator (Gustav Sundin), una sezione ritmica dalla chimica dirompente ed inarrestabile. Le due asce, Desekrator (Simpen Claezon) e Evil Bastard (Andreas) fanno il loro maledetto lavoro senza eccedere nel virtuosismo. La voce, sempre a carico di Evil Bastard, è dura, irascibile e spaventosamente incrinata, adattandosi bene al genere.
Il prodotto sonoro di questa “accozzaglia” infernale sono brani spinti ad alta velocità come la tradizione Thrash Metal vuole (“We Are the Devils”, “Time to Destroy”, “Pay the Price”, “Law of Death” e “Gatlingun”) mescolati ad altri più orientati verso un massiccio Heavy Metal (“Built by Lies” e “Dreamwalker”). Solo la fase centrale perde un po’: “Accursed” e “Black Sorrow” sono, a parere di chi scrive, un po’ troppo ripetitive ed angoscianti. Poco importa: in generale il Full-Length si ascolta più che volentieri, è prodotto in modo professionale ed è curato nel dettaglio per ottenere l’effetto retrò voluto.
Gli Stormdeath, pur non aggiungendo niente di nuovo, più che una ventata di aria fresca sono un uragano rovente e mefitico che s’insinua con forza nelle pieghe dell’attuale scena Thrash Metal. Da non perdere.