Recensione: Timetropia

Di RoyKing - 6 Novembre 2006 - 0:00
Timetropia
Band: Kingcrow
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2006
Nazione:
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90

E’ il nuovo platter intitolato Timetropia, un oscuro concept di progressive heavy-rock, metal a tratti, spesso con influenze hard rock, e una lieve sensazione di deja-vue di Rush, Pink Floyd e Queensryche qua e là. Ben altra pasta, dunque, rispetto agli standard contemporanei.

Il cd in questione è stato nel mio lettore cd per due giorni interi e ancora ad ogni ascolto svela qualcosa di nuovo, il che ne evidenzia il livello qualitativo. La caratteristica a dominante è la tensione che in un crescendo Wagneriano porta dalla sorniona pacatezza della prima traccia all’apice della conclusione, in una girandola di cambi di atmosfera e stile musicale, insomma: il fascino dell’imprevedibiltà.
Non è una rivoluzione rispetto al predecessore Insider, ne è piuttosto la naturale evoluzione, con maggiore esperienza, maturità e personalità.
E’ chiaro che un gruppo che nel 2006 si cimenta in un sound che affonda le proprie radici negli anni ’90, dimostra di fregarsene delle tendenze, e quindi merita rispetto già per questo. Maggiore onore a chi come i Kingcrow riesce a de-contestualizzarlo, rendendo Timetropia un disco fuori dal tempo, senza età, ascoltabile fra vent’anni come vent’anni fa.
Che poi questo approccio sia opera di un gruppo italiano in realtà non ci sorprende, la scena italiana ha diversi nomi (di certo non i più celebrati dal grande pubblico) che concepiscono la musica in questo modo, commercialmente interlocutorio ma artisticamente superiore.

L’album si snoda su 12 brani di durata variabile dal minuto e trenta ai sei minuti e passa, ma non commettete l’errore di ascoltarlo guardando il timer, è il classico disco da ascoltare ad occhi chiusi, dove il numero di traccia è solo un ID digitale di posizionamento.
Il disco inizia in maniera discreta, quasi sopita, lieve, e in un periodo in cui i più attaccano in modo roboante con orchestre fiamminghe e cori prussiani o artifizi pirotecnici, si capisce che i Kingcrow non vendono fumo e non hanno bisogno di impressionare i “pischelli” con effetti da circo.
Iniziano invece con dei mezzi arpeggi di chitarra pulita flangerata, appoggiati su un catacombale pedal di tastiera, count-down della NASA, splettrata monocorda a sedicesimi, la prodonda voce di Gelsomini, e si arriva alla prima apertura armonica in pieno stile Kingcrow: refrain ruffianissimo, riffing uptempo, cori di quarta/quinta/settima. Chi non capisce di cosa stiamo trattando, forse dovrebbe dedicarsi ad ascolti più easy, per non rischiare di chiedersi cosa abbia sentito fin’ora.
Dopo i 4 e spicci minuti della opener A Perfect Life, in cui già si profila la fisionomia dell’album si passa alla rushiana Fading Out Part I, in cui il rapido susseguirsi di situazioni stilistiche differenti non concede alcuna pausa all’ascoltatore, e tra raffinati riff di chitarra e ritmiche studiate con oculatezza, si arriva alla traccia numero 3: Out Of The Darkness, che mixata alla successiva Realusion (sommate non fanno neanche 4 minuti) regala prestazioni vocali emozionanti e coinvolgenti, si tuffa nella successiva Between Now And Forever, dove i primi Queensryche (quelli di “The Warning” per intenderci) affiorano senza malcelati scrupoli tra refrain ancora una volta ipnotici e parti di chitarra dipinte più che suonate.
A questo punto ci si accorge della qualità dei suoni e della concezione della produzione: senza altro che i propri strumenti (niente fanfare e simili) la band copre per intero e in modo assolutamente intelligibile tutto lo spettro sonoro, e ogni strumento suona così nitido che ad occhi chiusi sembra di averli di fronte in un “live nel salotto di casa propria”. Non si ravvisano sbavature, c’è un’evidente grande libertà interpretativa (garanzia di non-campionamento) ma è tutto chiaramente il risultato di un serrato lavoro di gruppo, lo si rileva dall’evidente sintonia con cui la band si allinea alle diverse interpretazioni di portamento della sezione ritmica, e la intenzione degli uni è un tutt’uno simbiotico con il portare avanti degli altri.
Dopo la vivace strumentale Fractured ci si perde nell’etereo di Home, nelle sue atmosfere laid-back ora e up-tempo poi tipiche del rock USA di miglior matrice e passando per la scoppiettante A Merry-Go-Round (che per i gusti di chi scrive ha un colore un po’ troppo West Coast/L.A.), la tensione si allenta con la splendida Fragile Certainties, una semi-ballad da brivido che rinverdisce in chi ha oltre trent’anni le emozioni dei tratti più edipei dei Pink Floyd di The Wall.
Ma la tensione continua a salire, come si addice ad un film thriller della miglior scuola, siamo a The Hitchhiker, oscura, criptica, breve e tagliente, riff di chitarra a corde semi-stoppate, mid-tempo che ti batte sulle tempie, cori alla Queen del periodo sperimentale e il tutto confluisce in quello che per noi è l’apice del disco: Signori e Signore, Turn Of Events In A Drawer. Se un amico ve la fa ascoltare e vi dice che è un side-project dei Fates Warning ci abboccate come carpe, credeteci. In 5 minuti e 12 secondi si condensa il meglio del rock progressivo degli ultimi 15 anni, non c’è versante, dalla composizione all’esecuzione, che dopo anche un solo ascolto non ti rimanga incollato al DNA, parola di collezionista: un brano che da solo vale un intero album. La prestazione vocale di Gelsomini, che finora sembrava essere stata volutamente compressa, ha in questo brano libero sfogo in tutta la sua emotività ed è uno di quegli elementi che danno al disco quel qualcosa di più che al prossimo ascolto già sai che non ti appagherà, inducendoti a schiacciare il maledetto tastino “indietro” che vorresti invece non toccare.
In una trascinante bolgia di così tante emozioni, riff assassini, ritmiche spaccaossa, chitarre acustiche, chitarre classiche, arrangiamenti di gran classe, cori disarmonici, attraversiamo la conclusiva Fading Out Part 2, ciliegina su una torta troppo breve per essere totalmente appagante, e forse per questo ancora più desiderata e desiderabile.

In conclusione si può affermare che non siamo di fronte al capolavoro del secolo, anzi, a nostro avviso i margini di miglioramento della band sono ancora ampi. Soprattutto per quanto riguarda la voce, riteniamo che con l’ausilio di un producer di un certo livello il buon Gelsomini possa fare un bel passo in avanti, e con lui la band tutta.
Tuttavia questo Timetropia è il classico album di cui riparleremo fra qualche anno, e fra qualche anno potremo veramente giudicarlo anche in parallelo ai suoi contemporanei. Timetropia non sarà il disco della svolta del metal italiano, ma sicuramente ha tanto contenuto qualitativo da contribuire ad allargare quella crepa che si sta generando nella discografia di oggi, dove giorno per giorno si è sempre più assuefatti di pagliacci e sempre più si chiede che torni la musica vera, suonata, anti-commerciale, anti-moda, anti-trigger, ecc.
Con Timetropia i Kingcrow hanno fatto un disco vero, suonato, fatto di canzoni, di fantasia e di menefreghismo commerciale. Ed è per questo che coi tempi che corrono quasi possiamo gridare al miracolo.

Recensione a cura di RoyKing (wimps and posers leave the hall)

Tracklist:

    1. A Perfect Life
    2. Fading Out Part I

Timetropia:

  1. Out Of The Darkness
  2. Realusion
  3. Between Now And Forever
  4. Fractured
  1. Home
  2. A Merry-Go-Round (Chemical Ecstasy)
  3. Fragile Certainties
  4. A Hitch-Hiker
  5. Turn Of Events In A Drawer
  6. Fading Out Part II

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