Recensione: Timewave Zero
Quando mi domandano: chi è secondo te una band da seguire che ha qualcosa in più di tutti gli altri? La mia risposta, come potete immaginare, è la seguente: ‘se non conosci i Blood Incantation vai subito ad ascoltarli, mannaggia a te!’.
La band l’ho conosciuta tardi ovvero quando è uscito, nel 2019, “Hidden History of the Human Race”. Leggo in giro recensioni entusiasmanti e quindi decido di ascoltarlo… Resto ammutolito. Mi fiondo allora alla ricerca dell’EP e del full-length usciti anni prima ovvero “Interdimensional Extinction” e “Starspawn”. Li ascolto e la mandibola mi si frantuma per terra. Mi chiedo: ‘ma da dove escono ‘sti geni?’. Non c’è una risposta precisa se non da qualche sala prove del Colorado, però mi basta la consapevolezza che esistono e sono in pieno periodo produttivo.
Passa un po’ di tempo ed esce la notizia che la band è in procinto di pubblicare un nuovo EP (con una durata di oltre un’ora!). Aspetto che il link di pre-order si materializzi sul web e lo compro all’istante… e attendo soffrendo come una bestia che arrivi il prima possibile… e arriva! Metto sul giradischi il vinile e scopro che nulla c’azzecca con i precedenti dove il death metal era fuso a soluzioni tipiche del technical death, come non se ne sentiva da anni (ma tanti!).
“Timewave Zero” è un disco puramente ambient dove i suoni (tra l’altro ricercatissimi) si fondono alle visioni, a partire dalla foto interna che vede la band in ‘trance spirituale’ su un colle, a fianco di una sorta di nuraghe o micro-piramide Maya. Vari gli strumenti che si intravedono attorno a loro tra cui una tambura, un gong, una chitarra acustica, tastiere, synth e altri ordegni. Nel mezzo di tutto questo, sotto un cielo che minaccia tempesta, ecco pietre e cristalli dal profondo riflesso esoterico, un teschio di pietra e un triangolo di legno. Siamo quindi invitati presso una location che magnetizza, oltre che l’attenzione dell’acquirente, anche le energie del cosmo e della terra.
I quattro danno vita ad un ambient quasi religioso che annega in un disteso suono senza periodicità o se preferite, risuona tramite vibrazioni e segnali che oscillano dolcemente su ampi spettri di frequenze. Un vero e proprio viaggio ultraterreno attraverso il firmamento, in grado di realizzarsi solo se supportato da una consapevolezza profonda e personale. “Timewave Zero” ammalia, cattura, allontana, scuote, sussulta e ricattura. È una ricercata proposta per rilassarsi, evadere, sognare e condividere la prospettiva che il cosmo ha nel suo rapporto con l’infinito, ma anche con l’energia della vita, con le distanze inumane dell’eterno disatteso e con l’intensità dell’esistenza che sopravvive con forza, e si perpetua.
La spinta della portata di ogni singolo atto trasformato in musica si accosta, secondo dopo secondo, al peso della nostra anima e con essa condivide la direzione del viaggio senza meta qui tracciato. “Timewave Zero” è bellissimo, un vero ‘strumento di ricerca interiore’.
Non vorrei spendere altre parole per non incorrere nella tentazione di far paragoni o citazioni tanto impossibili da farsi, quanto inadeguate. Ogni persona con un po’ di background in questo genere artistico vivrà questo rapporto musicale con “Timewave Zero” con lecito egoismo e intimità. Cito solo due band che hanno azzeccato, chi per un disco, chi per molti di più, la mission di questo modo di comporre ovvero gli UIver di “Shadows of the Sun” e i Vinterriket per tutta la loro produzione ambient.
Chiuderei con una famosa citazione di uno dei più grandi di tutti i tempi in materia, Brian Eno. Il genio in questione affermava: ‘la musica ambient può essere ascoltata attivamente con attenzione, come può essere facilmente ignorata, a seconda della scelta dell’ascoltatore’.
A voi la scelta.